Si ripetono con una certa regolarità anche a Ferrara episodi di vandalismo: gomme di auto bucate, specchietti retrovisori o cristalli frantumati, ruote di biciclette piegate, specchi viari rotti, auto rigate o addirittura date alle fiamme
. L’ultimo caso è di sabato, capitato in via Baluardi.
Il vandalismo ha una duplice connotazione: da un lato genera insicurezza diffusa, dall’altro segnala una situazione di disagio sociale. Rispetto alla criminalità comune gli atti vandalici hanno normalmente un minore livello di pericolosità, ma un maggiore potere destabilizzante poiché non sono associabili ad alcuna logica intelligibile e come tali non sono in alcun modo prevedibili. Mentre il pericolo derivante da situazioni criminose è in linea di massima circoscrivibile in un ambito di situazioni note, dell’atto vandalico si può essere vittime in ogni frangente e in ogni momento, senza alcuna ragione.
Proprio la gratuità del gesto, ossia la completa assenza di motivazioni e presupposti razionali, la sua totale inutilità anche per chi lo pratica, rende ancor meno accettabile la conseguenza a chi la subisce. Un ladro ruba per avidità o per bisogno, un vandalo distrugge senza alcun fine. Le ragioni che spingono un uomo a compiere una rapina sono facilmente comprensibili e paradossalmente il trauma che la vittima subisce risulta in questa senso meno arduo da rielaborare rispetto allo shock che subisce l’individuo a cui viene bruciata l’auto senza un perché (o al quale viene lanciato un sasso da un cavalcavia).
Nell’assenza apparente di motivazioni alla base degli episodi vandalici sta l’aspetto sociale della questione. Il vandalismo infatti è fine a se stesso, è conseguenza più della noia di vivere che di un istinto di ribellione. Gli atti di vandalismo si producono di norma in situazione che il sociologo Durkheim indicherebbe come di “anomìa”, cioè di assenza di regole condivise e introiettate. L’atto vandalico esprime il rifiuto di un’identità sociale collettiva o quantomeno la mancanza di consapevolezza dei valori socialmente condivisi. Non è un caso se bersagli dei raid vandalici sono spesso oggetti di pubblica utilità: lampioni dell’illuminazione stradale, cabine telefoniche (fin quando ne sono esistite!), monumenti. Agli occhi e alla coscienza del vandalo quei beni comuni non hanno alcun valore. Di più: il vandalo si sente estraneo, non partecipe, indifferente alla vita della comunità, rispetto alla quale non si percepisce come componente ma come atomo isolato.
Il tornaconto di queste bravate è dimostrare a se stessi la capacità di agire sulla realtà, determinandone una mutazione. Il soggetto acquisisce per un momento una visibilità, in quanto agente attivo. Poco importa che tale identità resti avvolta nell’anonimato e non sia socialmente riconosciuta. L’effetto è in termini di autoconsiderazione. Il soggetto atomizzato scopre di essere un elemento in grado di interagire con la totalità che lo circonda e nei confronti della quale avverte e sente ricambiata indifferenza. L’atto vandalico, poi, in genere diventa notizia sul giornale e l’individuo vede riconosciuto il proprio protagonismo in una modalità che ne attesta e documenta la rilevanza.
Gli atti vandalici vanno dunque repressi con severità, ma la difficile prevenzione deve essere svolta a livello sociale. Quando ragazzi e ragazze, uomini e donne si sentono partecipi e in sintonia con il contesto in cui vivono non accadono episodi di vandalismo. Il rimedio, dunque, è riuscire a trasmettere il senso delle cose, il valore delle relazioni, degli affetti, il rispetto per i delicati equilibri comunitari.
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Sergio Gessi
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