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La Cgil e la sua manifestazione di Roma sono roba vecchia, il Pd della Leopolda è il nuovo. Tra futuro e passato volete restare ancorati al passato? Fatti vostri, il mondo è cambiato, il posto fisso non c’è più, noi andiamo avanti. Questo è stato il messaggio di Matteo Renzi concludendo la kermesse di Firenze.
In realtà le cose escono dalle metafore usate ad effetto dal premier – quelle ad esempio del “pensionato che pensa non finiranno mai i lavori nella stradina sotto casa sua”, o di chi “si ostina a rimanere aggrappato all’articolo 18, che è come azionare lo smartphone con un gettone” – e investono ben altri terreni. Per esempio, se abbiano ancora cittadinanza i partiti nel senso tradizionale, o se siano inutili orpelli del passato. Chi sia oggi e cosa sarà domani la sinistra. Perché ci si ostina a combattere la precarietà con le manifestazioni di piazza. E tralasciamo le battute (“non lasceremo riportare il Pd al 25%” o “non consentiremo di fare del Pd il partito dei reduci”) che fanno parte dell’armamentario polemico del momento.
Le questioni fondamentali che stanno sotto la pelle del discorso di Renzi suscitano interrogativi importanti. Provo ad evocarne tre. Primo: chi è chi lavora? Una persona o una merce? Deve avere dei diritti, oltre che dei doveri? Deve essere tutelato o una volta stipulato un contratto va tutelato a discrezione di chi gli dà lavoro? Secondo. Cos’è un sindacato? Un organismo che esercita delle tutele e difende dei diritti collettivi oppure un soggetto che sarebbe meglio eliminare perché con la sua azione inceppa lo sviluppo di un Paese? Terzo. Deve ancora esistere una sinistra che stia dalla parte delle persone più deboli e meno garantite, quando invece oggi la dinamica sociale ed economica offre tantissime opportunità solo a chi voglia provarci?
Renzi è abile, sa quando accelerare e quando frenare. Vuol far passare l’idea che è investito di una missione (“ce la siamo cercata noi la bicicletta” “farò al massimo due legislature” vuol dire, si badi, che il potere politico uno se lo prende e se lo mantiene finché vuole, a meno di sconquassi). Conta sulla superficialità dell’opinione pubblica, che bisogna folgorare con battute e slogan efficaci.
Tutto questo però non significa commettere l’errore di liquidare il premier e le sue idee in modo semplicistico, affermando, come si sente dire, che ha rimesso a nuovo e sta realizzando le idee di Berlusconi. Potrebbe essere vero, ma sarebbe troppo poco. Poco per il sindacato – penso ovviamente alla Cgil – che deve ripensare le proprie strategie e sburocratizzarsi, riorganizzarsi in una situazione sociale ed economica in vorticoso cambiamento, assumendo l’orizzonte europeo e internazionale come una costante della propria azione, non mantenere rendite di posizione e non perdendo mai il legame con i soggetti che intende difendere (tra i quali i tantissimi giovani che ho visto a piazza San Giovanni). Poco per la sinistra, che deve riposizionare in fretta idee e concetti nel XXI secolo, senza dimenticare mai che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla donna, nelle sue diverse varianti, purtroppo esiste ancora.

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.


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