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di Maria Paola Forlani

In Italia i musei sono al servizio della sovranità del popolo, dell’uguaglianza sostanziale. Al servizio dell’integrazione e della dignità di tutti.
Al pubblico: non al privato. Come la biblioteca, anche il museo deve essere una piazza del sapere. Non un luogo dove si va una volta nella vita, per vaccinarsi: ma uno spazio pubblico aperto. Ai cittadini, prima che hai turisti. Un luogo dove i bambini possano crescere, gli adulti rimanere umani, gli anziani godersi la libertà.
Un luogo dove si va per vedere anche un’opera sola: come si va in biblioteca a leggere un libro. Il cuore vero del museo è la ricerca. Un museo che non fa ricerca è un deposito di roba vecchia. Il fine non è la tutela: la tutela è uno strumento per la conoscenza. Quella scientifica, che poi deve diventare diffusa. Un museo non è una discarica per politici trombati, presidenti di banca cacciati, giornalisti finiti, membri cadetti di grandi famiglie.
Un museo che non è guidato da un ricercatore è come un’aereo che non è guidato da un pilota. Il museo non può diventare opaco, non deve essere un feticcio, un idolo.
Il museo è un mezzo: più è trasparente, più funziona.

Nei giorni scorsi, significativamente, durante un intervento al Salone del Restauro, Giovanni Alliata ha descritto la galleria di palazzo Cini a Venezia. Di fatto come un museo dinamico ed attivo, oltre che per le sue storiche e straordinarie collezioni d’arte antica, per la coraggiosa e nuova apertura al contemporaneo. Ma, in questo contesto di mecenatismo, non bisogna dimenticare la straordinaria collezione di arte contemporanea che raccoglieva Casa Cini di Ferrara, abitazione in cui Vittorio Cini era nato. Questo luogo che il conte Cini donò (come dice la lapide) ai giovani e alla cultura era diventato, oltre che vivace centro culturale un vero e proprio museo, visitato e vissuto dalla cittadinanza e non solo, luogo di studio e di ricerca. Studio vuol dire amore, educazione vuol dire tirar fuori l’umanità che è chiusa nell’uomo, mentre il diletto è la dolcezza che ci avvince alla vita. Se un museo riesce a ridare a queste tre parole il significato etimologico, profondo, ebbene, quello è davvero un museo, e “Casa Cini” di Ferrara lo era veramente.
Ma ora quel museo non esiste più, la diocesi ha preferito disperdere tutto quel patrimonio, con le sue biblioteche e il suo intreccio d’amore.

Talebano. Così in Italia, è chiamato chi distrugge l’arte del passato – come i talebani veri, quelli dei Buddha di Bamiyan -; così il patrimonio di Casa Cini e gran parte della sua storia è stato distrutto senza pietà…

L’onestà intellettuale ci comanda di mettere in chiaro
che oggi tutti coloro i quali vivono in attesa di nuovi
profeti e nuovi redentori si trovano nella stessa situazione
che risuona in quel canto della sentinella di Edom
durante il periodo dell’esilio, raccolto nell’oracolo di
Isaia: “Una voce chiama da Seir in Edom: sentinella,
quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde:
verrà il mattino, ma è ancora notte; se volete domandare,
ritornate un’altra volta”. Il popolo al quale veniva
data questa risposta ha domandato e atteso ben più di
due millenni, e conosciamo il suo sconvolgente destino.
Ne vogliamo trarre l’insegnamento che anelare e attendere
non basta, e faremo altrimenti: ci metteremo al nostro
lavoro, e adempiremo “alla richiesta di ogni giorno”
come uomini, e nel nostro lavoro.
(Max Weber, La scienza come professione, 1917)

Lettera aperta sulla distruzione del patrimonio culturale di Casa Cini idealmente indirizzata a don Franco Patruno [leggi]

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Redazione di Periscopio



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