Ricordo un ministro per la Semplificazione normativa, un certo Calderoli, chirurgo maxillo-facciale prestato alla politica, che aveva promesso la semplificazione della burocrazia e che si era elettoralmente riscaldato al rogo di non so quante migliaia di leggi e norme dichiarate obsolete.
Senza giungere però a cassare l’avviso dell’avviso. Ti avviso che ti ho avvisato.
Si tratta di uno zelo o scrupolo sancito da una sentenza del 1998 della Corte costituzionale, nel caso in cui la notifica di un atto giudiziario non venga recapitata direttamente nelle mani del suo destinatario o di qualcuno che si impegni a fargliela pervenire.
Sarà capitato a tanti, immagino, al rientro a casa di trovare nella cassetta della posta una striscia di carta bianca con la quale le Poste italiane avvisano dell’esistenza di una Raccomandata A.R. di cui non è stato possibile effettuare il recapito per assenza del titolare o di persone abilitate a ricevere l’atto. E vi si avvisa che ‘l’avviso di giacenza’ è stato immesso in cassetta. E dove se no, visto che proprio lì l’avete trovato?
Ora siete informato che avete sei mesi di tempo per recarvi all’ufficio postale indicato per ritirare l’atto che vi riguarda, cosa che tutti facciamo con una certa celerità, ansiosi di sapere se si tratta di una contravvenzione o di qualcosa d’altro del tutto inaspettato. Comunque che vi diate da fare o meno, che abbiate scoperto o meno il foglietto bianco nella buca della posta, trascorsi dieci giorni, la ‘notificazione’ è data per eseguita, c’è scritto sempre sul foglietto bianco che avete appena prelevato dalla vostra cassetta.
E allora perché il giorno dopo vi arriva dalle Poste italiane un’altra Raccomandata A.R. che all’interno custodisce una striscia bianca perfettamente identica a quella che il giorno avanti avete rinvenuto nella vostra cassetta postale?
Vi hanno preso per insipiente? Se poi le Poste danno comunque per notificato l’avviso di deposito dopo dieci giorni, a cosa serve questa ulteriore raccomandata, che per un attimo vi fa pensare d’essere improvvisamente perseguitato da una catena di atti giudiziari?
Il tutto perché la materia del recapito degli atti giudiziari è disciplinata dall’art. 8, secondo comma, della legge n. 890 del 1982, comma ritenuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale, che nel caso di mancata consegna ha imposto l’invio della ‘Comunicazione di Avvenuto Deposito’ per raccomandata con avviso di ricevimento.
Si tratta di quelle disposizioni che hanno tanto il sapore della capziosità dell’avvocato Azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Perché, se trascorsi dieci giorni devo comunque considerarmi notificato, l’ulteriore raccomandata non è altro che un leguleio spreco di tempo e di denaro.
Mi rifiuto di immaginare l’accumulo di strisce bianche e di buste dalle gamme di verdi impossibili, quasi da autostoppista galattico, nella cassetta delle lettere di un destinatario assente contumace ai reiterati avvisi dell’avviso.
C’è addirittura una letteratura nelle AVVERTENZE che stazionano entro finestre, due per dieci, sulle buste rettangolari del ‘Servizio notificazione atti giudiziari/amministrativi’ e sulla conseguente ‘Comunicazione di avvenuto deposito’, vere e proprie trame da scriverci un romanzo, se si pensa ai personaggi e ai luoghi che evocano.
Intanto il protagonista che deve giungere nelle mani del suo destinatario assume l’identità fascinosa di ‘plico’, deve essere assolutamente consegnato all’intimità di una persona di famiglia, e qui la storia si dipana tra i conviventi, anche quelli dai legami deboli come possono essere conviventi solo temporanei, fino alla servitù della casa o persone al servizio del destinatario, e allora si possono immaginare gli intrighi di dimore patriarcali. C’è pure il dramma della malattia mentale, il plico rifiuta il soccorso di mani psicolabili o irresponsabili come quelle dei giovinetti al di sotto dei quattordici anni. Ma non disdegna il portiere dello stabile, altro personaggio di rilievo, quasi medium magico, che mai deve mancare in tutte le favole che si rispettino.
Alla fine, se tutti gli sforzi risultassero vani, nel tentativo di giungere tra le mani dell’eletto, al povero plico non resta che l’ingrato destino d’essere rinchiuso nella gabbia della cassetta postale, in febbrile attesa d’essere liberato.
Ma le avvertenze prevedono anche un altro finale per il plico, quello di essere affisso alla porta d’ingresso del suo anelato destinatario, come una sorta di editto esposto allo sguardo di tutti alla faccia dell’odiosa privacy.
Forse ‘semplificazione’, al contrario di quanto la parola, quasi fosse un falso amico, suggerisce, è davvero troppo complicata da realizzare. Così perdura la sovranità della carta ai tempi della rivoluzione tecnologica, che poi tanto rivoluzione evidentemente ancora non è.
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Giovanni Fioravanti
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