Il 25 ottobre, si festeggia la giornata mondiale della pasta, simbolo dell’Italia, ma anche di ritrovo tra amici e in famiglia, di pranzo della domenica. Parte delle nostre radici.
L’amiamo, la prepariamo, la compriamo, la mangiamo, l’abbiamo mangiata in tutti i modi, vista in tutti i film, con i nostri Totò, Peppino, Alberto, Sofia, Marcello e Aldo.
C’è chi dice che furono gli arabi del deserto i primi a essiccare la pasta per garantirne una lunga conservazione, poiché nelle loro peregrinazioni non avevano sufficiente acqua per prepararla ogni giorno (dando così vita ai cilindretti di pasta forati in mezzo per permettere una rapida essiccazione). Chi sostiene questa tesi, si basa sul più antico libro di cucina di ‘Ibn ‘al Mibrad (del IX secolo), in cui appare un piatto molto comune tra le tribù beduine e berbere, ancor oggi conosciuto in Siria e in Libano: si tratta della rista, maccheroni essiccati conditi in vario modo, consumati soprattutto con le lenticchie. La rishta che ho conosciuto io, sono le leggere (e buonissime) tagliatelle cotte al vapore dell’Algeria o della Libia, qui accompagnate da agnello, ceci e cipolle. Gustoso.
Qualcun altro, e soprattutto la tradizione, attribuisce a Marco Polo, l’introduzione della pasta in Italia, di rientro da un viaggio nella misteriosa, ricca e lontana Cina. Tuttavia, molti documenti rivelano l’esistenza della pasta in Italia prima del viaggio del celebre veneziano. Tra questi, un testo del 1154, una sorta di guida turistica dove il geografo arabo Al-Idrin menziona un “cibo di farina in forma di fili” chiamato triyah che si preparava a Palermo. Un’altra testimonianza risale a un testo del 1244, una sorta di certificato in cui un medico di Bergamo assicura guarigione al suo paziente a patto che non si cibi, tra gli altri alimenti, nemmeno di pasta. Interessante.
Nel 1279, poi, in un documento del notaio Ugolino Scarpa, si trova la parola “macaronis”. La confusione intorno al termine dura fino al ‘700, quando i napoletani se ne appropriano definitivamente e i maccheroni diventarono il loro vero manifesto: cibo semplice per i poveri ma di regale qualità, quasi a voler sottolineare la supremazia della grande fantasia dei poveri che acquistano così una profonda dignità. Fantastico.
Goethe, nel suo Viaggio in Italia, quando arriva a Girgenti racconta: “Non essendoci alberghi di sorta, una brava famiglia ci ha alloggiati in casa propria (…). Una portiera verde ci separava con tutto il nostro bagaglio dai padroni di casa, affaccendati nello stanzone a preparare maccheroni, e maccheroni della pasta più fine, più bianca e più minuta. Questa pasta si paga al più caro prezzo, quando, dopo aver presa forma di tubetti, vien attorta su se stessa dalle affusolate dita delle ragazze, in modo da assumere forma di chiocciole. Ci siamo seduti accanto a quelle graziose creature, ci siamo fatti spiegare le varie operazioni e apprendemmo così che quella specie di pasta si fa del frumento migliore e più duro, detto “grano forte”. Stupefacente.
La pasta non entrò subito nelle mense dei ricchi, anche perché veniva mangiata con le mani (cosa che avviene ancora oggi in molti paesi del Nord Africa). Poi, all’inizio del XVIII secolo il napoletano Gennaro Spadaccini, ciambellano di corte, utilizzò una forchetta a 4 punte. Da allora la pasta entrò negli ambienti aristocratici e iniziò a fare il giro del mondo. Miracoloso.
Oggi la pasta è adattata, cambiata, colorata, levigata, lavorata e, infine, festeggiata. Si trova in cima alla piramide alimentare come alimento completo, appagante, semplice da preparare, economico, allegro e salutare. Unico.
Anche il grande Aldo Fabrizi s’interrogava sulle sue origini, ecco cosa scriveva…
Chi sarà stato?
Ho letto cento libri de cucina.
de storia, d’arte, e nun ce nè uno solo
che citi co’ la Pasta er Pastarolo
che unì pe’ primo l’acqua e la farina.
Credevo fosse una creazione latina,
invece poi, m’ha detto l’orzarolo,
che l’ha portata a Roma Marco Polo
un giorno che tornava dalla Cina.
Pe’ me st’affare de la Cina è strano,
chissà se fu inventata da un cinese
o la venneva là un napoletano.
Sapessimo chi è, sia pure tardi,
bisognerebbe faje… a ‘gni paese
più monumenti a lui che a Garibardi.
(Aldo Fabrizi, “Ricette e considerazioni in versi”)
Buona festa della pasta, allora. E buon appetito. A tutti voi, vicini e lontani.
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Simonetta Sandri
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