Il 31 ottobre 1984, il più grande attore del teatro italiano del ‘900, l’immenso, fantasmagorico e intramontabile autore di testi come “Napoli Milionaria”, “Questi fantasmi!”, “Natale in casa Cupiello”, moriva, a Roma, all’età di 84 anni.
Ricordiamo tutti la sua intensità, la sua forza, il suo coraggio, la sua franchezza, la sua sincerità, il suo viso magro, smunto, scavato, scarnito e malinconico, la voce afona e velata dovuta agli abiti umidi indossati nei primi e lontani camerini teatrali scavati nella roccia, la sottile ironia e l’umanità di Eduardo De Filippo. Napoli sempre con lui, in lui. Tutto questo se ne andava, tristemente, Eduardo salutava per sempre il suo pubblico.
Aveva scritto e interpretato oltre 55 commedie, con una carriera iniziata al Teatro Valle di Roma nel 1904 (quando a soli 4 anni era apparso in braccio a un attore) e la sua prima commedia, scritta nel 1920, “Farmacia di turno”. C’erano stati, poi, l’incontro con Pirandello agli inizi degli anni Trenta, le commedie degli anni quaranta (“Filomena Marturano” e “Napoli Milionaria”), e la messa in scena, nei primi anni settanta di diverse sue commedie a Londra e New York dirette da Laurence Olivier, fino alla nomina, nel 1981, a senatore a vita, voluta dall’indimenticabile Sandro Pertini.
Oggi, ci sarà il suo ricordo in Senato, e l’opera “Le voci di dentro”, in scena al San Ferdinando di Napoli, verrà riproposta su Rai 1, nella replica del 2 novembre delle 16.45, con la regia d’eccezione di Paolo Sorrentino. Da non perdere.
I suoi capolavori gli sono sopravvissuti, nello spazio e nel tempo, ogni parola in più è pura retorica, l’omaggio a questo piccolo e immenso uomo è d’obbligo. Solo un pensiero, allora. Un onore averlo fra gli italiani.
E noi lo vogliamo ricordare così, con il suo ultimo discorso, un vero inno al teatro [vedi] e con una sua bellissima poesia. Perché Eduardo è sempre Eduardo, uomo-galantuomo.
Si t”o sapesse dicere
Ah… si putesse dicere
chello c’ ‘o core dice;
quanto sarria felice
si t’ ‘o sapesse dì!
E si putisse sèntere
chello c’ ‘o core sente,
dicisse: “Eternamente
voglio restà cu te!”
Ma ‘o core sape scrivere?
‘O core è analfabeta,
è comm’a nu pùeta
ca nun sape cantà.
Se mbroglia… sposta ‘e vvirgule…
nu punto ammirativo…
mette nu congiuntivo
addò nun nce ‘adda stà…
E tu c’ ‘o staje a ssèntere
te mbruoglie appriess’ a isso,
comme succede spisso…
E addio Felicità!
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Simonetta Sandri
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