LA RICERCA
Né meglio, né peggio, tutti ugualmente diversi
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Il 92% degli adolescenti ferraresi ascolta o ha ascoltato offese omofobiche verso un compagno maschio nella propria scuola, sia essa un liceo, un istituto tecnico o un istituto professionale. La pervasività del fenomeno omofobico nelle scuole secondarie superiori di Ferrara è uno dei dati più significativi emersi dall’indagine svolta nel maggio 2014 dall’Ufficio diritti dei minori del Comune di Ferrara – in collaborazione con l’Osservatorio adolescenti, il Centro Donna Giustizia , il Centro di ascolto per uomini maltrattanti e il Movimento nonviolento – i cui risultati sono stati presentati da Elena Buccoliero il 10 dicembre a Palazzo Bonacossi durante l’incontro “Omofobia: si fa per scherzare?”.
Un titolo scelto non a caso: per i maschi adolescenti i canoni della virilità intesi in senso tradizionale restano il metro su cui confrontarsi e deridersi, ma dalle risposte dei 724 studenti di III e IV superiore coinvolti nell’indagine emerge che l’offesa omofobica è sì frequente, ma poco importante. Elena Buccoliero spiega che, durante le discussioni fatte in classe una volta rielaborati i dati della ricerca, i ragazzi hanno affermato: “Lo diciamo spesso, ma è uno scherzo”. “Oppure – continua – sembrano essere in grado di distinguere fra un’offesa omofobica vera e propria e una scherzosa, che si fa in modo reciproco. Dà fastidio quando è ripetuta, insistita e ne è vittima sempre la stessa persona”. Per quanto riguarda invece le reazioni nel caso un compagno venga apostrofato come omosessuale: la metà delle ragazze e un quinto dei ragazzi dichiara di intervenire, mentre il 22% dei maschi e l’11,5% delle ragazze si fa i fatti suoi; l’ilarità è praticamente solo maschile e molti maschi di origine straniera tendono a frequentare meno chi viene preso in giro come gay.
Anche le domande “cosa ti suscita un ragazzo o una ragazza omosessuale?” e “Perché alcune persone sono omosessuali?” suscitano riflessioni interessanti. Sembra essere “meno ‘accettabile’ una persona omosessuale dello stesso proprio sesso e più intrigante e interessante una persona gay dell’altro sesso”. In ogni caso 409 studenti, circa il 58% del campione, rispondono che provano “indifferenza” verso l’omosessualità. Tale sentimento non è però da intendere in senso negativo, piuttosto non è l’essere omosessuali o meno “che cambia il loro approccio verso una persona”, sottolinea Elena.
Quando, infatti, si chiede loro perché alcuni siano gay la maggioranza risponde che “sono tali perché provano affetto verso persone dello stesso sesso”, quindi per i ragazzi ferraresi “non c’è bisogno di cercare altre motivazioni”; inoltre per tre quarti del campione l’amore etero e quello omosessuale hanno la stessa dignità.
In sintesi, secondo Elena Buccoliero, dall’indagine si possono riscontrare due diverse tendenze: “una quota sempre più alta di adolescenti che dimostra un’apertura verso l’omosessualità”, alla quale però fa da contraltare “una fetta minoritaria, ma non irrilevante, di adolescenti che mantengono un atteggiamento di discriminazione”. Ci sono infatti 72 studenti, fra i quali 65 maschi, il 10% del campione in generale e il 17% del genere maschile, che verso un ragazzo o una ragazza omosessuale dicono di provare un certo disgusto. “Chi sono?”, si sono domandati gli autori della ricerca e scomponendo i dati, oltre alla prevalenza del genere maschile, risulta che “provengono soprattutto da istituti tecnici e professionali e molti hanno vissuto esperienze di violenza in famiglia”; infine va sottolineata la pericolosa coincidenza che tendono ad esprimere “una minore condanna della violenza fisica nella coppia eterosessuale”.
Una chiave di lettura interessante per interpretare il sostrato che lega tutte queste risposte l’ha data il pedagogista Giuseppe Burgio, autore di “Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità”. Prima di tutto ha decostruito il concetto di “omofobia”, partendo proprio dal nome: “non si tratta affatto di fobia, perché evitiamo le cose di cui abbiamo paura, non le andiamo a cercare”. Secondo Burgio poi non è il rapporto fra persone dello stesso sesso a causare problemi, ma il tipo di rapporto, cioè “la passività, i maschi che si comportano da femmine”, e “il genderismo”, cioè la confusione fra i ruoli di genere che non rispettano più gli stereotipi tradizionali; infine “la bifobia”, cioè il fastidio per le persone che hanno un comportamento bisessuale “presente tanto negli etero quanto negli omosessuali”. “Il termine più utile” per raggruppare tutti questi elementi per il pedagogista è “eterosessismo”, che non implica una fobia, ma l’asimmetria fra generi: in parole povere pensare che “l’eterosessualità sia migliore dell’omosessualità”. Inoltre si può concludere che “l’omofobia in realtà è uomofobia” originata dalla crisi del modello tradizionale del patriarcato che costringe i ragazzi “alla fatica e al lavoro di costruirsi un proprio modello di mascolinità”. Per Burgio ciò è evidente se si considera che gli adolescenti maschi oggi danno definizioni tutte in negativo di cosa sia la mascolinità: sanno cioè dire ciò che non sono. “I nostri adolescenti parlano in maniera ossessiva di omosessualità, però lo fanno mettendola in scena, in modo offensivo” e spesso rispondono alla fragilità maschile con la violenza, per attaccare fuori di sé ciò che non accettano di sé o per ristabilire il modello maschile colpendo ciò che non rispetta la norma.
Insomma secondo Burgio “i maschi sono il problema perché hanno un problema”. Cosa si può fare? “Da più di dieci anni tutti gli interventi fatti nelle scuole per la prevenzione del bullismo omofobico si sono basati sull’accettazione delle differenze, ma se il problema è la mancanza di un modello maschile di riferimento allora bisogna cambiare approccio. Per una crescita serena i ragazzi hanno bisogno di un’educazione alla maschilità, della costruzione di una maschilità non misogina e omofobica. Devono sapere che essere maschio non significa solo essere Superman, ma molte altre cose e tutte vanno ugualmente bene perché non c’è un ideale normativo cui bisogna aderire”.
Leggi [qua] la nostra inchiesta “Le identità contese”
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Federica Pezzoli
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