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Fin dalle prime battute i racconti dell’autore svizzero Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) trasmettono la sensazione di vivere al di fuori della storia, in una terra di nessuno che oltrepassa le dimensioni della realtà, non identificabile. Sparisce un’appartenenza riconoscibile per lasciare il posto a una scena più ampia: quella dell’essere umano. Non c’è l’immagine della Svizzera felice, oasi culturale del provincialismo, depositaria di valori liberal borghesi, saggia, modello di convivenza pacifica. Non appare il Paese che in pochi anni a distanza dal secondo dopoguerra si è trasformato nel modello economico produttivo guardato come ‘miracolo’, con le sue banche e le sedi di multinazionali. Dürrenmatt ha bisogno di spazi diversi per uscire dalla ristrettezza, dall’immobilismo, dalla realtà angusta e opprimente, da quella, insomma, che alcuni autori del periodo, fra cui anche Max Frisch, definivano una specie di nevrosi difensiva elvetica. Ne sono nati racconti assolutamente singolari, a volte destabilizzanti, altre surreali o grotteschi, unico modo, secondo l’autore, per rappresentare l’umanità frustrata.
Nel racconto “Il Tunnel”, un giovane studente prende il treno per raggiungere l’università e quello che doveva essere un tragitto banale e quotidiano, si trasforma in un lungo, interminabile incubo. Il treno imbocca un tunnel che non finisce mai, tra l’indifferenza di passeggeri che non vogliono capire, controllori che non vogliono parlare, addetti ai bagagli che scendono al volo qualche minuto dopo la partenza, prima della catastrofe. Una caduta a picco che diventa verticale, in un abisso senza limiti. L’epilogo della folle corsa è sconcertante come nello stile abituale di Dürrenmatt. “La promessa” è il titolo che forse ha avvicinato di più il nome dell’autore al grande pubblico, perché trasformato in un bel film di Sean Penn con un bravissimo Jack Nicholson nella veste del protagonista, il commissario Matthäi. E’ la storia di una frenetica ricerca dell’autore del brutale delitto di una bambina di sette anni, ritrovata nel bosco. Uno scenario contrastante, dove il commissario non è creduto dai suoi stessi poliziotti e la realtà dei fatti è contraddittoria, in continua metamorfosi. Tutto diventa la negazione di tutto. In “La panne”, un commesso viaggiatore in panne con la propria auto, si ritrova improvvisamente coinvolto in una situazione inimmaginabile, un gioco crudele, quasi perverso, dal finale conseguente. I suoi soccorritori diventano giudici implacabili che lo inchioderanno davanti a responsabilità sempre negate, rimosse o che forse non gli competevano. Anche in questo caso il cinema ci viene incontro con un film di Ettore Scola, “La più bella serata della mia vita” liberamente tratto dal racconto. Ma forse l’effetto disorientante più emblematico, si trova in “La caduta”: il racconto esordisce con la descrizione di una movimentata festa, un buffet freddo a base di uova ripiene, prosciutto, toast, caviale, acquavite e champagne, che gli invitati di spicco, denominati semplicemente A, B, C, D, E, F, G, H, K, I, L, M, N, O, P, consumano con voracità, riempendosi la bocca, oltre che con le prelibatezze, con discorsi di facciata e grandi enunciazioni politiche contenenti il vuoto. L’atmosfera è quella di un ben camuffato campo di battaglia dove scontrarsi per il raggiungimento delle postazioni migliori di prestigio, come tante pedine su una scacchiera.
I racconti di Friedrich Dürrenmatt sono legati dalla metafora poliziesca attraverso la quale denunciare la smania di ordine e giustizia, fonte, secondo l’autore, di perversione e violenza. Ciò che spesso sfugge al giudizio dei tribunali può essere eticamente condannabile e viceversa. I meccanismi di indagine e di giudizio sono trattati con toni di pungente satira e spirito critico e l’autore vuole dimostrare una tesi ben precisa, attraverso l’utilizzo di trame investigative: il caso governa e determina i destini umani, il razionale non prevale sul caos, anzi. Solo chi ha sperimentato il disordine fino alle sue conseguenze estreme può riscoprire uno spazio in cui regna quella consapevolezza di sé non traducibile in parole, che può redimere dal caos postmoderno.
L’ultima pubblicazione dell’autore, poco prima della sua morte, è “La valle del caos”, ambientato in un isolato villaggio di montagna dove la vita ruota intorno a un centro terapeutico molto frequentato nel quale si incontra gente di ogni provenienza ed estrazione: gangster, gente comune, ricchi faccendieri e annoiati benestanti. Una fauna umana che compare, scompare, si incrocia per poi lasciarsi. Il caos. Un Dürrenmatt che non ha mai smesso di essere attuale, puntuale e pignolo osservatore dei comportamenti e dei fatti, critico superlativo della modernità disordinata e distruttiva.
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Liliana Cerqueni
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