La puzza delle contraddizioni del nostro pianeta
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Esiste una logica nelle contraddizioni? Difficile dirlo, ma oramai siamo talmente strutturati in questo sistema che difficilmente potremmo immaginare un mondo diverso per cui: si, il nostro mondo è logico nelle sue contraddizioni, qualsiasi cosa questo significhi!
Ma cosa vedrebbe un extraterrestre, un essere proveniente da altri mondi, necessariamente più evoluto di noi e non impregnato dell’odore di fritto che ci infastidisce quando si entra in una cucina dove si sta preparando il cenone di capodanno? Vedrebbe sicuramente tutte quelle cose che noi non vediamo più, che accettiamo come ineluttabili e alle quali ci conformiamo non vedendo altre scelte possibili.
Il cibo. Frigoriferi stracolmi di generi alimentari, supermercati e negozi stracolmi di offerte per tutti i gusti di cui buona parte e immancabilmente finisce nella spazzatura. Cibo e spreco a tonnellate, con incapacità congenita di operare quanto meno un recupero per offrirlo alle mense dei poveri. Spreco da un parte e poveri dall’altra, appunto. Milioni di persone impossibilitate ad accedere a questo cibo e bambini che muoiono a ondate, ogni giorno, perché non hanno accesso al benessere, condizione normale solo per un parte della popolazione, comunque esseri umani anche se diversamente alimentati.
Il lavoro. Da un parte gente che lavora anche 15 ore al giorno, che è totalmente stressata a causa dei troppi impegni, ma che in fondo non sa più farne a meno. Che si troverebbe perduta se all’improvviso si dovesse trovare a casa prima del tempo, di fronte a moglie/marito e figli. E dall’altra gente in costante ricerca di un impiego che gli possa assicurare uno stipendio e quindi la possibilità di pagare le tasse e di potersi tenere la casa, la macchina e l’accesso a quei negozi pieni di ogni ben di Dio, ma che non regalano nulla, anche se siamo Cristiani, Musulmani, Buddisti e quant’altro. Il fatto di ritenerci ‘umani’, religiosi, cooperativi e collaborativi non ci esime dal pretendere sempre che per potersi sfamare e vivere dignitosamente sia giusto passare attraverso il lavoro, quindi uno stipendio, un guadagno, una spesa.
Il nostro secolo doveva essere, presumibilmente, il secolo della liberazione dalle catene della schiavitù, che sicuramente oggi è rappresentata dal lavoro per chi ce l’ha e per chi ne è alla ricerca. Lavoro che è diventato sempre meno di qualità a favore della quantità. Negli anni del boom del secondo dopoguerra l’idea era che ci si sarebbe piano piano liberati dal bisogno di dover lavorare tante ore al giorno grazie alle invenzioni e alla tecnologia, invece è successo il contrario. Si lavora di più e si lavora in due, almeno, altrimenti non si riesce a vivere.
Questo perché siamo stati invasi, nella mente soprattutto, della necessità di avere sempre di più e sempre più cose inutili che durano sempre di meno. Crescita che nella nostra società modernamente tendente al vecchio e al solito significa aumentare la produzione di beni più che aumentare l’accesso al benessere di parti maggiori di popolazione. La tecnologia che doveva aiutare ci costringe invece a starle dietro, a vivere di obsolescenza programmata.
Siamo sempre più schiavi e determinati a rimanere al lavoro sempre più ore per accedere a cose inutili, mentre contemporaneamente sempre più persone rimangono fuori dal circuito lavorativo e di conseguenza non riescono a vivere. Da una parte chi lavora troppo per permettersi cose inutili e perpetuare all’infinito il sistema malato di crescita di prodotti, distruzione dell’ambiente, e accumulo di inutilità nonché spreco di generi alimentari e dall’altra l’esercito dei diseredati che mangiano e si riscaldano sempre di meno. Questo per il mondo occidentale, in gran parte destinato alla putrefazione, mentre milioni di bambini negli altri mondi semplicemente continuano a morire con poco o con il solito clamore ad intermittenza.
I soldi. Come potrebbe reagire il nostro extraterrestre osservando gli appelli televisivi a contribuire a salvare le piccole vite in pericolo nei continenti meno fortunati. Tra una pubblicità e l’altra ci chiedono dieci euro al mese, o venti o trenta, per aiutare un bambino in Africa. Ci chiedono di contribuire a farlo studiare oppure a nutrirlo o addirittura a fargli arrivare una vaccinazione. Quelli che lavorano e sono schiavi della pubblicità, del consumo sfrenato, devono sentirsi anche in colpa per non aver ancora provveduto ad adottare uno di questi disperati che il mondo dell’ingordigia, delle multinazionali e degli interessi sovranazionali ha provveduto a ridurre in quelle condizioni. Condizioni che ci vengono mostrate nella maniera più cruda possibile tra il te pomeridiano e la cena serale, davanti ai nostri figli che imparano, contemporaneamente, a sentirsi colpevoli e superficiali. In contraddizione perpetua.
Nel mondo c’è un gran bisogno di soldi, ma si cercano i soldi degli altri disperati che navigano a vista in questa accozzaglia di diseredati. Anche qui, da un parte Banche Centrali che stampano soldi a bizzeffe, ma che si fermano ad altre banche, dall’altra campagne televisive che ci chiedono 10 euro al mese oppure di partecipare alle collette alimentari. Multinazionali dei farmaci che detengono brevetti miliardari da un parte mentre dall’altra le vaccinazioni di milioni di bambini e la loro vita dipendono dai nostri dieci euro al mese.
Le religioni. Ed infine il nostro extraterrestre scoprirebbe le religioni e vedrebbe gente che prima prega il suo Dio e poi magari si fa esplodere in una piazza in mezzo a donne incinte e bambini, oppure vedrebbe mafiosi prima uccidere i propri simili e poi andare in chiesa a pregare nelle mani di qualche prete compiacente. Vedrebbe gente pregare da una parte e dall’altra e poi correre a sganciare bombe su città piene di altri esseri umani che a loro volta hanno pregato prima di imbracciare il loro strumento di morte.
Insomma, abbastanza per lasciare la nostra atmosfera e allontanarsi dall’odore di fritto e dal sapore delle contraddizioni in logica evoluzione su questo strano pianeta.

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Claudio Pisapia
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani