Della scomparsa della classe media si è accorta anche la pubblicità. Questa mattina ho fatto una verifica ascoltando la radio. Di dieci spot trasmessi, sette puntavano su offerte, occasioni, saldi, svendite, liquidazioni, 3×2, 2×1… Un paio reclamizzavano prodotti decisamente economici: gelati e trucchi. Uno invece promuoveva il “gran coupé” di quella certa casa automobilistica.
Dunque, chi è il pubblico di questi messaggi? Per la maggior parte persone che devono fare i conti con i soldi per arrivare a fine mese o che comunque orientano gli acquisti prevalentemente sulla base di un criterio di convenienza. L’eccezione è il super lusso. In mezzo non c’è niente, niente di normale: la scomparsa dello standard, della classe media appunto.
Un tempo la pubblicità promuoveva prodotti capaci di soddisfare bisogni concreti, facendo riferimento alle reali necessità del consumatore. Ti serve la pentola, eccola qua. Hai finito il caffè: pronto! Poi, a partire dagli anni Ottanta, sulle ali del consumismo, i pubblicitari, divenuti nel frattempo esperti di marketing, hanno cominciato a indurre i bisogni, a crearli, utilizzando i brand (le marche) come strumenti di accreditamento sociale, chiavi di accesso agli stili di vita vagheggiati attraverso gli spot: anche tu sarai così (avrai successo, sarai ammirato, otterrai il sì della donna o dell’uomo dei tuoi sogni) usando quel certo profumo, indossando la tal maglietta, bevendo quel particolare amaro. La pubblicità non vendeva più prodotti, ma desideri e illusioni.
Oggi si è di nuovo riposizionata, adattandosi all’epoca di crisi. Per comperare, le persone devono essere convinte di realizzare un “vero affare”. Se non è così, si può attendere, non c’è fretta di acquistare. Gli scaffali sono pieni. E lo sono anche le nostre case: siamo i reduci di una ‘belle epoque’ di opulenza. Dunque, i potenziale acquirente vincono l’inerzia che li frena solo se proprio proprio hanno sentore che ne valga la pena; questo accade quando ciò che viene offerto è (o appare) un’occasione da non perdere. E la differenza, ora, la fa il prezzo. Su quello, quindi, punta la pubblicità.
Fuori dalla mischia della corsa al risparmio restano solo i pochi che ancora hanno le tasche piene. Sono pochi, sì, ma ‘né hanno tanti’ e sono quindi un pubblico minoritario ma non marginale, anzi! Nei loro confronti funziona ancora la strategia classica, che fa leva sulla suggestione; quella usata ai tempi d’oro, l’epoca dei rampanti e delle ‘Milano da bere’, quando la grande abbuffata sembrava non dover finire mai.
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Sergio Gessi
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