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Da qualche giorno ho dei problemi con la passata di pomodoro. La passata “non passa”, si ferma nell’esofago, mi torna su. Strano, ci andavo matto per la passata di pomodoro! Deve essere stato per quelle foto, quella strada rossa di pomodori S. Marzano in mezzo ai bins azzurri rovesciati, la carcassa del pulmino distrutto, il sangue e i corpi accartocciati degli schiavi africani lasciati ad asciugare al sole di agosto.
Va bene, ho pensato: magari la colpa è mia, sono sempre stato debole di stomaco. Poi mi sono concentrato sulla passata di pomodoro. Un storia tutta italiana. Ché, anche se il pomodoro viene dalle Americhe, la salsa di pomodoro è uno dei simboli del Belpaese. Non a caso circa il 40 per cento del pomodoro da conserva che si consuma in Europa viene prodotto proprio attorno a San Severo, al confine tra la Puglia e il Molise.
Ricordo uno splendido raccontino di Giovanni Guareschi – lo so che era di destra, ohibò, ma era comunque un grande umorista. Siamo nei primi anni Sessanta, la famigliola torna dalle vacanze agostane, arriva sulla soglia di casa e vede un lago rosso che esce da sotto la porta: “La passata di pomodoro – conclude Giovannino Guareschi – ci veniva incontro, ribelle ma affettuosa”.
C’è qualcosa di casalingo, di nostalgico, di “affettuoso”, nella conserva di pomodoro. Far la marmellata era ben poca cosa; una volta tutti i componenti di ogni famiglia, al sud come al nord, venivano precettati per portare a termine la complessa operazione della preparazione della conserva. Alla fine, le bottiglie piene dell’oro rosso venivano bollite in un pentolone e messe in dispensa.
Oggi, ammesso ci siano ancora le famiglie, più nessuno ha due o tre giorni da perdere per dedicarsi alla conserva autarchica. Ma, soprattutto, non ne vale più la pena. I supermercati traboccano di passata di pomodoro, di cento marche diverse e in cento differenti confezioni.
Ecco, è il ricordo dello scaffale del supermercato che mi ha tolto la passione per la passata. Mi è tornato alla memoria quel lungo scaffare, le bottiglie, i barattoli, le confezioni risparmio, le offerte speciali. E mi è tornato in mente quel prezzo. E’ quel prezzo che mi ha tolto l’appetito. Una bottiglia da litro di passata di pomodoro (tappo ed etichetta inclusa) costava 65 centesimi.
Con 65 centesimi posso – potete – comprare un chilo di conserva. Provate a seguire tutto il processo. In quei 65 centesimi ci sta innanzitutto la materia prima, due o tre chili di pomodori S. Marzano. La messa a dimora delle piantine, i trattamenti, il raccolto, il trasporto, la bollitura, la macinatura, l’aggiunta di sedano, basilico, conservanti vari. Poi c’è Il confezionamento, l’etichettatura, un altro lungo viaggio, la vendita ai grossisti, infine l’arrivo sullo scaffale del vostro supermercato.
Un chilo di passata costa 65 centesimi. Nemmeno un chilo di patate costa così poco. Un litro di latte costa il doppio. Un litro di vino, quello da pasto, il triplo. Ma com’è possibile questo miracolo? Ecco, adesso lo sappiamo. Anzi, lo abbiamo sempre saputo, ma abbiamo fatto finta di non saperlo. Il miracolo dell’oro rosso della passata di pomodoro, sta nel sangue rosso del lavoro schiavo.
Così, dopo i 16 africani morti per farci pagare 65 centesimi una bottiglia di conserva, mi accorgo che non mi basta più indignarmi contro il caporalato, la mafia imprenditrice agricola, lo stato assente, il sindacato impotente.
Appena dopo la tragedia il nuovo governo, come tutti i governi precedenti, ha promesso misure definitive per stroncare la piaga del caporalato. Con una novità. Visto che per arginare l’illegalità diffusa l’ispettorato del lavoro e le forze dell’ordine si sono dimostrate impotenti o, peggio, distratte o conniventi, ci penseranno i droni a sorvegliare il lavoro nei campi di pomodori. Per le guerre “intelligenti”, in tutto il mondo, i droni funzionano a meraviglia: riusciranno a vincere almeno una guerra giusta, quella contro la mafia, l’illegalità, il lavoro schiavo? Faccio molta fatica a crederci.
In ogni caso, nonostante i proclami governativi e la diffusa indignazione a buon mercato, il mio piccolo problema persiste. Piccolo ma fastidioso: la passata di pomodoro non riesco più a digerirla. Sono l’ultimo anello della catena, sono solo un consumatore. Non ho nessuna colpa: vado semplicemente a far la spesa, vedo che bastano 65 centesimi per un chilo di conserva e ne compro 6 bottiglie da mettere in dispensa. Non faccio niente di male, eppure non riesco a sentirmi assolto. Come se un po’ di sporco, un po’ di rosso, un po’ di sangue mi fosse rimasto sulle mani. E sogno uno sciopero. All’incontrario. Pensate se gli italiani, tutti insieme, smettessero improvvisamente di comprare la conserva di pomodoro, se andassero davanti a mercati e supermercati con striscioni e cartelli contro la conserva a 65 centesimi e contro il lavoro schiavo: “Basta!”, “Vergogna!”, “Non vogliamo essere complici!”, Non si può andare avanti così!”, “Alzate il prezzo della salsa di pomodoro!”.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it