L’anno scorso ho avuto la fortuna di fare un breve viaggio nell’isola di Corfù. Facendo il giro turistico in barca a Paleokastritsa, il traghettatore ci ha invitati a guardare la cima di una roccia lontana, poiché quasi tutti i visitatori, diceva, ci vedono il muso di una scimmia.
Questo fenomeno si chiama “pareidolia”, dal greco èidōlon, “immagine”, col prefisso parà, “vicino”. É l’illusione subcosciente che tende a trovare strutture ordinate e forme familiari in immagini casuali. Si ipotizza che questa tendenza sia stata favorita dall’ evoluzione, poiché ci rendeva in grado di riconoscere un predatore partendo da pochi indizi visivi.
Possiamo notare questa specie di inganno percettivo continuamente: quando ci sembra che le nuvole stiano raffigurando qualcosa, o che le macchine abbiano musi, fino ad arrivare a vedere immagini sacre sui toast e alle apparizioni di fantasmi. É anche il fenomeno per cui riusciamo a decifrare le emoji. In Giappone è stato creato addirittura un museo delle rocce che ricordano facce, ed esiste un profilo Twitter intitolato “Faces in Things”, che raccoglie innumerevoli foto di oggetti che ricordano volti.
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Vittoria Barolo
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