Della mano sinistra intende occuparsi la Città della Conoscenza, ora che un po’ per tutti è nuovamente giunto il tempo del riposo, di staccare dagli assilli del lavoro, di dedicarsi di più a se stessi. Tornano gli archetipi dell’infanzia, quando ti raccontavano che la destra è il fare, l’ordine, la ragione. Mentre a sinistra stanno i sogni, le fantasie, le emozioni. Per non parlare delle nefandezze un tempo compiute da insegnanti e genitori sprovveduti che costringevano i malcapitati mancini all’uso forzato della destra per scrivere. I nostri cugini francesi però ci hanno superato, definendo i figli nati al di fuori del matrimonio come quelli à main gauche. E però noi proveniamo da una cultura che ci ha cresciuti a dicotomie, a dualismi fino al manicheismo. Il più eclatante di tutti l’idea delle due culture: quella umanistica e quella scientifica, per non parlare dei danni che un simile assunto può aver prodotto nella formazione del pensiero e nell’idea di conoscenza per generazioni intere. Un’idea ancora ben radicata, e ancora meglio esemplificata, se qualcuno nutrisse dei dubbi, dal permanere nel nostro ordinamento scolastico di due entità separate: il liceo classico e il liceo scientifico.
Allora la Città della Conoscenza vorrebbe approfittare di questa estate per consigliare alcune, a nostro modesto avviso, buone letture, in particolare a insegnanti e studenti, come possibili antidoti a questo virus del sapere.
Non si tratta di pozioni da assumere con regolarità, si possono introiettare a dosi liberamente scelte, a pizzichi e bocconi, nelle modalità più creative e come tutti i libri hanno il vantaggio di poter non essere letti.
Non aspettatevi recensioni, ma le ragioni di una scelta dal punto di vista del come conosciamo, cosa significa conoscere e perché conosciamo. Proposte per un modo di pensare, di far uso del nostro cervello, suggerimenti di metodo per usare la nostra mente a trecentosessanta gradi. Una finestra di opportunità intellettuali da non lasciar richiudere, per parafrasare Gustave Flaubert.
Questa settimana è il turno di Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere di Piergiorgio Odifreddi, edizioni Rizzoli.
Perché la traduzione in prosa compiuta da Odifreddi del De rerum natura di Lucrezio Caro è un ipertesto, una grande lezione interdisciplinare sulla conoscenza, la descrizione di un metodo per imparare ad apprendere, un modello esemplare di didattica. La tomba d’ogni divorzio tra le due culture, la dimostrazione che le grandi ipotesi della scienza sono doni che giungono dalla mano sinistra.
Aver scelto Lucrezio e il suo De rerum natura è la prova provata che lo scienziato e il poeta non vivono agli antipodi. Odifreddi scrive di scienza a tutto tondo, di vuoto, di pieno e di atomi con rimandi ai grandi, ai minori, ai misconosciuti.
Dagli esametri del poema latino di Lucrezio la lingua morta sui banchi di scuola rinverdisce nel terriloquio, nelle “parole baule” o “parole cerniera” di Lewis Carroll, fino al manifesto Punto, linea, superficie di Vasilij Kandinskij. E poi lo “spaventevole infinito” in La gaia scienza di Friedrich Nietzsche, fino alla metafora dell’esistenza nella storia della cultura occidentale del Naufragio con spettatore di Hans Blumenberg del 1979.
Odifreddi ci svela che i telai per la tessitura di cui parla nei suoi versi Lucrezio, altro non sono che gli antesignani sia della robotica che dell’informatica. La tessitura come alta tecnologia da cui parte la meccanizzazione del lavoro e la Rivoluzione industriale. Lo dobbiamo a un certo Jacque Vaucanson che nella prima metà del diciottesimo secolo si dilettava a costruire automi realistici, tra cui una famosa “anatra digerente” che mangiava, beveva e defecava.
Il Lucrezio di Odifreddi non è l’autore delle sofferte versioni dal latino all’italiano dei nostri lontani tempi di scuola, ma un umanista con radici ben piantate nella scienza del suo tempo e Come stanno le cose ci conduce a scoprire di quanta linfa e in quali direzioni quelle radici abbiano nutrito la grande narrazione del sapere umano attraverso il tempo.
Che la cultura umanistica e quella scientifica fossero un tutt’uno inscindibile era chiaro agli antichi, il “sapiens” si muoveva tra i due ambiti con assoluta disinvoltura, altrettanto non possiamo dire di noi oggi, specie a proposito delle nostre scuole.
Nel nostro mondo ancora delle due culture, ciò che manca è proprio questa capacità di transfert interiore dalla sinistra alla destra. Per questo ritengo il lavoro di Odifreddi un prezioso manuale di metodo come creatività, come liberazione, un manuale sul rapporto tra strategie didattiche e processi cognitivi, un manuale di apprendimento significativo che chiunque fa professione di scuola dovrebbe riporre nella propria cassetta degli attrezzi.
Sostieni periscopio!
Giovanni Fioravanti
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it