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La vicenda dell’orsa e del raccoglitore di funghi è una di quelle storie che mi fanno arrabbiare a prescindere. Vogliamo la Natura con la N maiuscola, ma non abbiamo il coraggio e l’umiltà per viverla. Portiamo i nostri bambini nelle fattorie didattiche per vedere gli animaletti, ma se i nostri adorati pargoli si sporcano le scarpine di cacca facciamo una tragedia, se poi si beccano un morso o si piantano una spina in un ditino, facciamo causa all’azienda. L’educazione alla Natura e all’Ambiente dovrebbe essere qualcosa di quotidiano che parte dal rispetto e dalla conoscenza del nostro ambiente di vita. La parola ecologia indica fondamentalmente la scienza che studia gli equilibri. Ragionare in termini ecologici significa fare un sforzo per cercare di vivere rispettando l’ambiente che ci circonda, che non è un jungla inesplorata, ma un contesto antropizzato da secoli di storia, che ne hanno alterato completamente l’assetto originario, quindi, per fare un esempio, mettere delle fioriere in piazza Duomo non è ecologico, ma solo stupido e costoso, le piazze sono fatte di pietra e architetture , non hanno bisogno di fiorellini e piantine asfittiche per diventare più belle e più “ecologiche”. Le piazze devono respirare, accogliere, insegnare convivenza e civiltà, chiuderle con paletti e fioriere trascurate, è un modo per tradire la loro storia, non capire il loro equilibrio. Le città sono organismi complessi e non mi stancherò mai di ripeterlo, ci sono tantissimi posti fuori dalle piazze per piantare alberi. Se perdiamo di vista chi siamo e qual è il nostro ambiente, diventa facile illudersi di trovare la Natura ogni tanto tanto, magari andando per boschi, a rompere le scatole a plantigradi con uno sviluppato senso materno.
Viviamo tutti situazioni prive di buon senso, troppo facilmente ci lamentiamo del troppo sole o della troppa pioggia come se fosse possibile una Natura a comando con un pulsante per regolare sole, vento, neve e pioggia in funzione delle ferie. Cercare un equilibrio non è facile per nessuno, ma provo un’ammirazione enorme per chi ci riesce in modo onesto e senza fare proclami. Ammiro in modo particolare le persone che scelgono di vivere in un ambiente dove la Natura ha ancora il sopravvento e non per fare una vacanza o per fare dello spettacolo, ma come scelta di vita e lavoro, la loro è una fatica senza scorciatoie. A volte succede che la tua strada incroci una di queste persone eccezionali e la vita ti fa un regalo. Raccontare come ho conosciuto il signor Ruggero non è importante, quello che conta è la vita di quest’uomo, che da trentacinque anni porta ogni anno le sue pecore dalle Alpi del Lusia alla pianura friulana, fin quasi al mare, seguendo le strade della transumanza. La sua esperienza è raccontata in un libro magnifico curato da Valentina Musmeci, intitolato Un anno col baio. Il baio è il termine generico che indica il pastore. Ruggero è il baio: un armadio di uomo, scarpe pesanti, occhi vispi che brillano in mezzo a capelli e barba grigia, una voce sorprendentemente gentile in un fisico da troll che ti conquista all’istante con la sua ironia. Scoprire per caso il suo lavoro di pastore e avere in mano il libro che lo racconta, è stato sorprendente. Man mano che leggo le pagine e guardo le splendide fotografie, mi accorgo di un mondo parallelo, un mondo che sta davanti ai miei occhi eppure è nascosto. Tanti si alzano prima dell’alba per andare al lavoro, ma un conto è farlo passando dal letto all’automobile, un altro è scrollarsi l’umidità dal sacco a pelo e andare a piedi, prima che il sole sorga, per poter attraversare le strade senza dare troppo fastidio a chi sta in automobile. In questo gesto c’è una grande lezione. Ruggero non è un nostalgico, sa benissimo che se non ci fossero gli extracomunitari a mangiare carne di pecora avrebbe già chiuso bottega, lui non porta le bestie a spasso per fare della retorica del “bel tempo che fu”, fa il suo mestiere, un mestiere scelto per passione e in totale libertà, un lavoro con gli uomini, pecore, asini e cani, rispettati dal primo all’ultimo. Il baio cerca l’equilibrio, senza far troppi danni, con il suo mondo che è fatto soprattutto di animali, pioggia, sole, vento, gelo, merda, vita e morte, ma anche di vite altrui, automobili, orti, campi coltivati, strade asfaltate. Senza rispetto non c’è storia, non c’è equilibrio, non c’è conoscenza, non c’è la vera meraviglia, quella che si merita chi accetta la Natura per quello che è: dura e pura. Grazie Ruggero, e grazie a Valentina Musmeci per averlo raccontato.

Valentina Musmeci, Un anno col baio. Dalle Dolomiti all’Adriatico con un pastore errante e duemila pecore, Ediciclo editore, Portogruaro (VE), 2014

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.


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