La letteratura in vetta.
Dalla Bibbia a Stern passando per Goethe, Mann e Buzzati:
in montagna si forgia l’immaginario umano
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In letteratura, la montagna è da sempre un tema eterno, teatro di narrazioni fantastiche ed esperienze narrative autobiografiche contornate da memorabili scene descrittive ed analisi introspettive. Nella Bibbia si innalzano emblematici il Monte Sinai che evoca Mosè e le tavole dei Dieci Comandamenti, il Monte Ararat e l’approdo dell’Arca di Noe, l’altura più modesta del Golgota, il luogo della crocifissione di Cristo. Nella mitologia greca il Monte Olimpo è la sede degli Dei e nel Monte Parnaso, dedicato al dio Apollo, viene identificata la sede delle Muse. Nella Divina Commedia, la montagna del Purgatorio raffigura il tramite tra l’abisso infernale e la sfera celeste. Ma solo in pieno Romanticismo, la montagna diventa elemento culturale diffuso ed esperienza pragmatica elitaria nell’arco alpino, con i primi turisti-scalatori tedeschi e inglesi tra cui ricordiamo Whymper e Mummery: diari, appunti e narrazioni più ampie ci consegnano pagine di grande interesse sulla percezione e il vissuto nell’ambiente montano, passando attraverso lo studio dei luoghi, degli abitanti, le loro tradizioni e il patrimonio di usi e costumi. E’ il primo approccio letterario ampio con una cultura rimasta in disparte, destinata fino allora ad essere cultura minore, in attesa di essere scoperta e valorizzata. E’ l’epoca dei grandi viaggiatori che affrontano la catena alpina che li separa dal nostro Paese con spirito pionieristico, grande curiosità, desiderio di conquista fisica e ideale ma anche timore reverenziale e diffidenza. Nel suo memorabile “Viaggio in Italia”, pubblicato tra il 1813 e il 1817, Johann Wolfgang Goethe registra minuziosamente le sue impressioni di viaggiatore attraverso paesaggi alpini ora cupi, ora gioiosi e si affida estatico, come sensibile e critico uomo di cultura, all’effetto dell’orrido, affascinante e sublime senza rimanerne completamente soggiogato. Nel “Faust” scrive: “Da lungo tempo è preparato un accordo tra le forze primitive dell’uomo e quelle delle montagne; felice chi seppe congiungerle.” Le sensazioni intense che Lord Byron trae dai suoi soggiorni montani rasentano il mistico: “Quassù non vivo in me, ma divento una parte di ciò che mi attornia. Le alte montagne sono per me un sentimento.” Friedrich Nietzsche sentiva ancora più forti i contrasti e la durezza della montagna e in “Così parlò Zarathustra” scrive: “ Non l’altitudine, è il pendio che è terribile! Il pendio lungo il quale lo sguardo precipita in basso, mentre la mano brancica verso l’alto. E intanto il cuore, preso da questo doppio impulso, ha la vertigine. Ha coraggio chi sa la paura ma la raffrena; chi guarda l’abisso, ma superbamente; chi guarda l’abisso ma con gli occhi delle aquile, e vi si aggrappa cogli artigli dell’aquila: questi ha coraggio.”
Arriva la Grande Guerra e la montagna diventa improvvisamente muta e impotente testimone delle carneficine dei combattenti al fronte. La letteratura è scritta col sangue che trasuda dalle pagine degli epistolari, delle poesie, dei romanzi di Giuseppe Ungaretti, Emilio Lussu e molti altri autori, compresi tutti quei soldati che scrivevano a madri, sorelle e fidanzate di trincee e camminamenti su costoni e avvallamenti, cime innevate, sentieri scoscesi e corridoi di fango, in perenne contatto con la morte. Finisce l’immagine romantica della montagna e le catene montuose diventano terra di difesa e conquista a prezzo della vita.
Thomas Mann sceglie la montagna come ambientazione del suo capolavoro “La montagna incantata” e vi colloca il sanatorio, un microcosmo in cui convergono personaggi e storie. La montagna diventa grigia, un luogo in cui il tempo si dissolve e diventa oblio ma anche dove Hans Castorp, riesce, alla fine, a trovare il suo equilibrio. Così viene descritta la prima panoramica che il giovane scorge dal finestrino del treno: “Acque rumoreggiavano in basso a destra; a sinistra c’erano abeti scuri che tra massi e rocce si levavano verso un cielo grigio come la pietra. S’incontravano gallerie tutte buie, e appena si rifaceva giorno, ampi abissi si spalancavano, con villaggi sul fondo. Poi si chiudevano, nuove gole seguivano con tracce di neve nelle fenditure e nei solchi.”
La montagna ha una valenza evocativa e simbolica possente: può rappresentare un luogo enigmatico e labirintico da affrontare, una conquista spirituale che richiede fatica, fiducia, rispetto, pazienza, lentezza e capacità di solitudine anche se può incutere paura o senso di impotenza. Gli scalatori lo sanno bene e lo riferiscono in tutta la bibliografia di montagna a nostra disposizione. Nei lavori di Dino Buzzati, “Barnabo delle montagne” e “Il segreto del bosco”, sono contenuti tutto l’amore e l’ammirazione dello scrittore per la montagna, gli stessi sentimenti di profondo attaccamento che troviamo anche in Mario Rigoni Stern in “I racconti dell’altipiano” e “Il bosco degli urogalli”.
Mauro Corona non ha mai smesso di fare della montagna e di tutto ciò che essa rappresenta, la vera assoluta protagonista delle sue fortunate opere tra cui “L’ombra del bastone”, “Il volo della martora” e tutte le altre, ricordandoci ogni volta, come siano potenti i segni e i significati contenuti in questo straordinario ambiente naturale.
Ma alla fine, metaforizzando con il grande indimenticabile alpinista Walter Bonatti, la grande verità è che “La montagna più alta rimane sempre quella dentro di noi.”
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Liliana Cerqueni
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