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“Per fortuna ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle fake news dei giornali, e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini tanto è vero che stanno morendo parecchi giornali […] nessuno li legge più perché ogni giorno passano il tempo ad alterare la realtà e non a raccontare la realtà”. Parole del vice-premier Di Maio in una diretta facebook del 6 ottobre 2018.
Verrebbe istintivo ricontrollare la data, perché argomentazioni di tale contenuto rappresentano rigurgiti di un passato tristemente noto, che evoca controllo, limitazione, censura nei confronti delle voci fuori regime. Ci si sta avviando verso una china che preoccupa e si intravvede un atteggiamento ossessivo verso il mondo dell’informazione e della stampa che squalifica i giornali e suggerisce di imbavagliare coloro che dell’informazione e della comunicazione hanno fatto una seria professione. Il Governo sta già pensando a provvedimenti penalizzanti come la prospettiva di aumentare l’iva per la stampa e la pubblicità viene passata per immorale, suggerendo velatamente che non è altro che un escamotage delle aziende per comprare i giornalisti, chiaro monito a quelle aziende a partecipazione statale che potrebbero trovarsi a fare i conti con tutto questo. Una forma di nuovo oscurantismo che rifiuta le linee di pensiero delle opposizioni e nega la possibilità di dialogare a più voci.

Ma si può cominciare a parlare di limitazione della libertà di stampa già ai tempi di Johannes Gutemberg (1394-1468), quando si assiste a un eccezionale aumento delle pubblicazioni e della loro circolazione, sottoposte a controllo da parte delle autorità. Nel 1501 papa Alessandro VI (1431-1503) introduce con bolla la ‘censura preventiva’, decretando il divieto di stampare senza autorizzazione delle autorità religiose e nel 1564 il provvedimento viene completato con un Indice dei Libri proibiti. In Inghilterra la censura preventiva è istituita nel 1531 da Enrico VIII e superata solo nel 1644, con la Seconda Rivoluzione, rendendo giustizia alla libertà di pensiero e alla sua divulgazione. Il primo quotidiano della storia viene pubblicato a Lipsia nel 1660, epoca in cui i periodici esistenti erano semplici strumenti in mano ai potenti, che attraverso essi esaltavano la propria immagine. Cronaca e politica erano del tutto assenti e gli argomenti a contenuto culturale erano appannaggio di un pubblico elitario. Occorrerà arrivare alla Rivoluzione francese per riservare al diritto di stampa il posto che merita e riconoscerlo nell’art. 11 della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino (1789). Due anni più tardi, la stessa dichiarazione verrà pronunciata nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, dove la stampa libera viene identificata dai leader rivoluzionari come uno degli elementi prioritari di lotta.

In Italia la libertà di stampa viene riconosciuta nell’art. 28 dello Statuto Albertino del 1848 e le lotte per il pieno diritto a questa libertà continuano per tutto il diciannovesimo secolo, mentre il numero dei quotidiano e dei lettori cresce. Questo percorso si interrompe nel ventesimo secolo con i regimi totalitari di triste memoria. Il rapporto tra stampa, informazione e potere conserva in questi regimi un carattere ambivalente: se da un lato la stampa rappresenta un utile strumento di raggiungimento e conquista delle masse, dall’altro può essere fonte di critiche e quindi va controllata e manovrata. Mussolini mette fuori legge i giornali di opposizione e irregimenta le principali testate. Nel 1930, per ordine di Hitler, in Germania vengono messi al rogo i libri definiti ‘culturalmente distruttivi’ e si assiste all’esilio di molti autori. Anche nell’Unione Sovietica viene istituita una censura ferrea che mira al controllo da parte del regime e all’eliminazione di ogni traccia di dissidenza. Nel 1929 viene creata una lista nera delle pubblicazioni e degli autori nemici del popolo e nel 1935 si contano più di 24 milioni di libri distrutti e dati alle fiamme.

Al termine della Seconda guerra mondiale la libertà di stampa è solennemente sancita dall’Onu nell’art. 19 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo (1948): “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, questo diritto include la libertà di sostenere opinioni senza condizionamenti e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo ai confini”. Una descrizione chiara, precisa e inequivocabile, frutto di tante lotte e conquiste, presente anche nell’art. 21 della nostra Costituzione Italiana. Attualmente, le ombre gettate sull’informazione ripropongono il dibattito sulla libera circolazione delle idee e delle manifestazioni di pensiero, fondamento dello Stato di Diritto e di una società democratica. “Dove la stampa è libera e tutti sanno leggere, non ci sono pericoli” affermava Thomas Jefferson. Preferisco condividere senza esitazione quest’affermazione che trovare accettabile quanto Benito Mussolini espresse sul ruolo della stampa: “ La stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana. Il quotidiano italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; è libero perché nell’ambito delle leggi del Regime può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).


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