Ha ragione l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Luigi Negri, che definisce la tragica morte di don Francesco Forini una perdita incalcolabile.
Non solo per la parrocchia di Mizzana, dove da anni era parroco; non solo per la comunità ecclesiale, ma per tanti e tanti a Ferrara.
La notizia della sua scomparsa improvvisa a causa di uno schianto, che come quelli che avvengono sulle strade avrà avuto il rumore sordo e traditore di una vita strappata tra un respiro e l’altro, arriva al termine di una domenica in sella alla sua bici, nel paesaggio del Delta del Po e tra gli affreschi di Pomposa.
Biblista, uscito da un rigoroso percorso di studi accademici al Pontificio istituto biblico a Roma, don Francesco è stato un indimenticato assistente dell’Azione cattolica diocesana; direttore di Casa Cini insieme con don Franco Patruno nei primi anni della ripresa delle attività dell’istituto di cultura, dopo la decennale presenza dei gesuiti; per dieci anni in Africa, a Kamituga e alla scuola di altri due grandi nomi della chiesa ferrarese: don Alberto Dioli e don Silvio Turazzi (a Goma); stimato insegnante all’Istituto diocesano di scienze religiose e tanto altro ancora.
Grazie a lui, innanzitutto, un quasi inesistente settore giovani dell’Azione cattolica ferrarese si rianima nei primi anni ’80 e consegue risultati numerici e di radicamento parrochiale che hanno lasciato il segno in molti. Non solo attività formative e spirituali, ma anche coraggiosi convegni rivolti alla città su temi come la disoccupazione giovanile e la pace.
A Casa Cini, insieme con don Patruno, è stato autore di un vero e proprio Programma culturale rivolto alla città, coinvolgendo le migliori intelligenze nei vari campi del sapere e chiamando a Ferrara alcuni dei grandi nomi della teologia, della filosofia, della scienza, dell’arte e della cultura.
Quasi uno stato di grazia, ancora oggi ricordato come una sorta di primavera ferrarese culturale a tutto tondo.
Non c’era ambito del pensiero umano al quale quel Progetto non volesse rivolgersi, parlare, dialogare. Sulla scorta del proemio della Gaudium et Spes, la Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Vaticano II, Casa Cini voleva essere luogo e spazio d’incontro con le “gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini”.
E così fu da subito la casa (non istituto) di intellettuali, giovani, donne e uomini. A partire dagli incontri di esegesi biblica del mercoledì, ai quali don Francesco non rinunciò mai. Un piccolo gruppo di persone che, sinossi dei Vangeli alla mano, era condotto per mano a comprendere innanzitutto il senso letterale, storico-critico, di quei testi.
Esercizio che dapprima suscitava l’attrito di non poter piegare quei testi ad un’ermeneutica spesso frutto di un’omiletica talvolta solo orecchiata, ma che alla lunga educava, con incrollabile pazienza, a lasciarsi interrogare dalla nudità, spesso inquietante e per nulla facilmente consolatoria, di quella Parola, che proprio così è in grado di parlare ad ogni coscienza.
Non ha mai trascurato un faticoso e serio lavoro di studio dei testi, e si sentiva, ostintamente declinato in un’esposizione certamente rigorosa e sistematica, ma sempre alla portata di tutti. Consapevole che quella Parola è rivolta all’uomo, tutti gli uomini.
Chi lo ha ascoltato, anche recentemente, ha avuto la sensazione di una sicura, autorevole, onesta e sedimentata esperienza dell’intero arco narrativo biblico.
Così don Francesco ha saputo, come pochi, entrare in tanti cuori e intelligenze che ora, comprensibilmente, sentiranno la mancanza di una voce colta, paziente e ironica, capace di parlare a credenti e non credenti, bambini e adulti, che egli ha sempre sentito pastoralmente come una famiglia.
Questa è stata la sua fede, la sua vita di prete, di un uomo per il quale la Parola ha avuto il valore e il senso di un impegno, di un legame, di una relazione, di un sacramento nel senso di una Presenza che unisce gli uomini a Dio e, si badi, contemporaneamente gli uomini tra loro.
Qui è sempre stato radicato il suo senso, teologicamente fondato quindi, di giustizia e solidarietà.
Mi viene in mente la voce arrabbiata di Alberto Moravia durante i funerali di Pier Paolo Pasolini:
“E’ morto un poeta e di poeti non ce ne sono tanti!”.
Con la morte di don Francesco Forini se ne va un prete, un amico, che ha avuto il talento di far risuonare Antico e Nuovo Testamento proprio come la poesia riesce a mettere insieme cuore e mente, ragione e sentimento, interrogando la coscienza nuda di ogni donna e uomo.
La sua, dunque, è stata innanzitutto una grande lezione civile; la lezione civile di un uomo di parola, perché lui per primo ha voluto che la parola diventasse un potente richiamo alla coerenza e mai semplicemente un suono.
E’ stato, quindi, essenzialmente un intellettuale, non nel senso salottiero nel quale tante volte è scaduto questo termine, ma in quello autentico di tenere insieme la riflessione con la vita.
Ciao Gogo.
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Francesco Lavezzi
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