LA LETTURA
Assordanti silenzi: le parole che non ti ho detto
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Un viaggio nel passato, attraverso un’Italia che non c’è più e che ha perso molte speranze di epoche vissute guardando al futuro. Un viaggio per le strade di una Roma che sembra così lontana, che scompare a poco a poco nella nebbia offuscata della memoria.
Sullo sfondo di un tramonto rosa che avvolge ricordi e pensieri, un ragazzo degli anni Cinquanta torna dal passato, si ferma sul pianerottolo della casa di famiglia dove si è respirato tanto amore e attende il figlio, ormai adulto. Due sconosciuti si trovano l’uno davanti all’altro, Vittorio e Walter Veltroni, padre e figlio, due uomini che non si sono mai veramente incontrati, perché non ne hanno avuto tempo e possibilità. Il padre se ne è andato a soli 37 anni, a causa di una rara malattia. Il bambino è rimasto senza guida, pur sotto le calde e avvolgenti ali protettrici della madre Ivanka. Insieme per una sola sera e per la prima volta, lo scambio del racconto delle loro vite è il racconto di due generazioni non tanto lontane temporalmente, ma così diverse per l’evoluzione veloce che i fatti hanno voluto percorrere.
Nel quartiere Salario di una Roma che cambia c’è tanta nostalgia per l’epoca di film che non si vedono più, delle note dei Beatles nelle sale da ballo dei ragazzi, della bellezza di Brigitte Bardot, della poesia di Luigi Tenco, della ribellione di Pasolini, delle pagine de Il giovane Holden, quelle che si divorano. Quante cose sono cambiate. “Quei bambini che giocavano con un pallone di cuoio marrone, stando attenti a non colpirlo di testa dalla parte dei lacci, non avrebbero mai potuto ipotizzare la Playstation o concepire di vedere una partita, magari la loro, su un telefono che non avrebbe avuto fili, né spine”. Ma poi ci sarebbero stati anche tempi bui. “Non avremmo mai immaginato che quell’uomo politico tante volte apparso in televisione, e che ogni tanto vedevamo passare per il viale circostante l’area delle nostre partite, con le mani dietro la schiena, mentre si riavviava la frezza bianca, sarebbe stato un giorno rapito e ucciso, quando l’Italia del dopoguerra perse per sempre la sua innocenza. E non avremmo certo potuto neanche pensare che uno di quelli che avrebbe sparato, in via Fani, era proprio il bambino con i ricci che lo stava osservando, dopo aver sottratto caparbiamente la palla a centrocampo a un mediano avversario”. Era il tempo della guerra civile ripetuta, quella di figli che avevano fatto gli stessi errori dei padri: trent’anni dopo, esser di essere di destra o di sinistra, significava ancora poter morire. Non era cambiato molto, chi pensava di poter cambiare il mondo si sarebbe presto stancato, pensando che fosse diventato più facile comprarlo. Ma dire questo a un padre che, speranzoso, era uscito da una guerra con la voglia di ricostruire e di vivere in libertà, è inutile e doloroso. Meglio tacere e abbracciarsi anche solo per poco.
Un solo rammarico. Impossibile da realizzare, ovviamente. Se solo ci fosse una bella macchina del tempo… Quegli amici perduti con i quali si erano condivisi paure e ideali, si vorrebbe incontrarli uno a uno, al tiepido e rassicurante tramonto, per parlare, mettersi in guardia dagli errori che si sarebbero fatti, dirsi la verità su quello che il tempo avrebbe riservato. Per non sbagliare. Attraverso gli occhi di un adulto che ripercorre la vita del padre, grande e stimato radiocronista, si rivede la nostra Italia, quello che sperava di essere, quello che è diventata, il tradimento di molti dei suoi valori. Con il rammarico per non averla potuta troppo aiutare e magari salvare, nonostante i numerosi tentativi. Perché a pugilato non si combatte con i fiori. E allora si appendono i guantoni al chiodo, come confessa di aver fatto Walter, per fortuna non sporchi di sangue. Si è capito in tempo.
Walter Veltroni, Ciao, Rizzoli, 2015, 248 p.

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Simonetta Sandri
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