LA LETTERA
Chi ha paura dell’obiezione di coscienza? La risposta di Udi
di Luana Vecchi
I temi della prevenzione, tutela e cura della fertilità e della procreazione dovrebbero essere obiettivi di “una società moderna che abbia a cuore il benessere dei singoli e della collettività”. La Legge 194 è nata proprio per questo scopo ma è sempre stata impropriamente chiamata legge dell’aborto. Assistiamo da sempre ad un dibattito ai vari livelli su questa legge che ha subito negli anni un costante boicottaggio in varie forme e modalità: le sue interpretazioni sono state piegate strumentalmente secondo gli scopi del momento, come dimostra la storia della obiezione di coscienza che dal personale medico si è esteso a quello paramedico, dall’obiezione individuale a quella di struttura, generando il fenomeno del turismo abortivo
Davvero scandalosa appare nel nostro Paese la percentuale di medici e operatori sanitari che si dichiarano obiettori, il che vanifica sostanzialmente l’applicazione della stessa legge 194, non garantendo l’accesso alle tecniche di interruzione volontaria della gravidanza. Occorre ricordare che l’art. 9 tutela la possibilità per il personale sanitario, previa comunicazione al medico provinciale, di avvalersi dell’obiezione. Gli obiettori paradossalmente sono tutelati dalla legge a “disubbidirla”. Nel testo non viene fissato alcun parametro e non si chiede ai medici e al personale sanitario nulla in cambio per cui possono rifiutarsi di effettuare aborti senza presentare alcun servizio supplementare, ecco la differenza rispetto al servizio civile. Quali le conseguenze di questa situazione? Principalmente la perdita di libertà e il rischio per la salute della donna.
Dal punto di vista giuridico diventa opportuno ricordare la pronuncia del Comitato Europeo dei diritti sociali con cui viene condannata l’Italia per violazione dell’11 della carta sociale europea a causa dei troppi obiettori di coscienza ed ulteriore conferma della “particolare” posizione del nostro sistema legislativo e sanitario sul tema dell’aborto, rispetto a quanto succede negli altri paesi
Lo stesso art.32 della Costituzione chiaramente precisa che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo” e che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, per cui diventa cruciale chiedersi se l’istituto giuridico dell’obiezione di coscienza, così come previsto dall’9 della L.194, goda dei criteri costituzionali. In buona sostanza il diritto delle donne a interrompere la gravidanza non ha lo stesso valore di quello del medico di obiettare, essendo per la donna in discussione diritto alla salute e libera scelta del proprio corpo. L’obiezione si pone come un’eccezione alla norma e porta contraddizioni troppo grandi, perché l’ordinamento giuridico e più in generale, la comunità politica, possa accettarla così com’è, senza predisporre opportune garanzie a tutela dei diritti delle donne. Il medico, difatti, sarebbe tenuto del dovere di fedeltà alla Repubblica a non obiettare, a prestare il dovuto servizio alla comunità cui appartiene, a causa del vincolo rappresentato dalla solidarietà sociale: eppure il testo di legge, per venire incontro alla sua coscienza, permette appunto, l’obiezione di coscienza, ma questa non può trasformarsi in uno strumento per sabotare il legittimo diritto di scelta della donna. L’applicazione della facoltà di obiettare di cui all’art.9 della L.194, paventa in concreto un’ipotesi di “abuso di diritto” stante l’aggiramento dello scopo originario della norma. Non si può negare, infatti, che l’obiezione di coscienza sia diventata uno strumento politico, diffuso e promosso soprattutto da cattolici ed esponenti del Movimento per la vita, i quali dopo il fallimento del referendum abrogativo del 1981, hanno abbandonato la strategia d’assalto, preferendo invalidare dall’interno la Legge 194, utilizzando le scappatoie presenti nella stessa per raggiungere i loro obiettivi, ovvero per impedire alle donne l’accesso alla contraccezione e all’interruzione volontaria di gravidanza
Il Gruppo salute donna Udi nel 2015 ha preso in esame, attraverso una ricerca ed alcuni strumenti di indagine, la situazione soprattutto ferrarese dell’applicazione della Legge 194 conclusasi con un documento molto argomentato, in cui sono stati puntualizzati i vari problemi emersi e sono state avanzate alcune proposte, inviate poi alla direzione dell’Ospedale di Cona, rappresentata dal dott. Carradori e all’Azienda USL rappresentata dalla dott.ssa Bardasi , con i quali si è avuto già un primo incontro su queste problematiche. Ci auguriamo che possano seguirne altri prossimamente per ottenere impegni precisi atti a migliorare i servizi dai Consultori giovani a quelli familiari, presupposti indispensabili e basilari di tutta la 194.
L’UDI e il gruppo salute donna continueranno la battaglia per l’autodeterminazione, la dignità e la salute della donna .
Luana Vecchi – gruppo salute donna UDI
Leggi la lettera di Patrizio Fergnani
e le risposte di:
Daniele Lugli – Movimento Nonviolento
Ilaria Baraldi – consigliera comunale

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Riceviamo e pubblichiamo
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)