Gli ultimi due anni hanno accelerato quell’inarrestabile flusso di informazioni che, volente o nolente, è il segno distintivo di quest’epoca: gli aggiornamenti sulla pandemia e sulla guerra in Ucraina ci accompagnano ovunque, stimolando un’inevitabile discussione. Tuttavia, è probabile che l’effetto destabilizzante di eventi del genere ci faccia andare dietro a conclusioni perlopiù condizionate dalla nostra bolla – il luogo in cui cerchiamo conferme, anziché spunti di riflessione – o dal nostro vissuto.
Gli aggiornamenti servono ad avere un quadro più ampio della situazione, ma non per questo esaustivo; d’altronde, è più o meno impossibile farsi un’idea ben definita di una guerra in corso, e discuterne sulla base di sensazioni o sospetti può essere pericoloso: c’è il rischio di un ulteriore cortocircuito mediatico. Nonostante ciò, l’abitudine di alcuni media a polarizzare e a stuzzicare ancor di più il dibattito pubblico persiste, lasciando dietro di sé degli strascichi con cui probabilmente faremo i conti durante la prossima campagna elettorale.
È opportuno quindi non fossilizzarci su una delle possibili e innumerevoli cause scatenanti, né tanto meno su una singola dichiarazione. È altrettanto opportuno distinguere tra aggressore e aggredito, tra propaganda e informazione, tra opinioni e fatti. Insomma, c’è bisogno di uno sforzo interpretativo: oggi più che mai, informarsi è come essere al supermercato e dover scegliere il cibo più salutare in mezzo a etichette fuorvianti, operazioni di greenwashing e packaging ammiccanti.
Se l’attuale infodemia non ci dà il tempo necessario a elaborare gli sviluppi di una guerra, ce lo dobbiamo ritagliare: che siano cinque o trenta minuti, l’importante è farlo con un approccio attivo. Infatti, “elaborare gli sviluppi” non vuol dire necessariamente stare in silenzio e accontentarsi di ciò che passa il convento, bensì provare ad approfondire le informazioni man mano che arrivano, scegliendo con calma i pezzi più idonei a formare il puzzle.
l social media e gli abbonamenti online ci danno la possibilità di avere accesso, ad esempio, ai giornali più autorevoli al mondo, ad agenzie stampa quali Reuters, Associated Press e Bloomberg, nonché alle testimonianze di chi si è recato sul posto [Qui] o dei civili che vivono quotidianamente la realtà della guerra. Ci sono poi degli ottimi “raccoglitori” di tutte queste fonti, sia sugli stessi social media che nel giornalismo italiano: prendiamoci del tempo per cercarli, valutarli e farne un uso consapevole. Il nostro futuro dipende anche da questo.
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Paolo Moneti
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