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Della Grecia si parla di questi tempi quasi esclusivamente in riferimento ai debiti da saldare al Fondo monetario internazionale e alle casse statali, che sono pressoché vuote. A rischio è il pagamento di pensioni e salari pubblici, con lo spettro dell’insolvenza e forse del default sempre più minaccioso.
La comunicazione dei media si limita agli esiti degli incontri politici finalizzati ad accelerare l’attuazione del piano di riforme, peraltro non ancora compiutamente condiviso fra il nuovo governo greco e le istituzioni comunitarie che, diciamocelo, non sono proprio in linea con gli indirizzi dell’esecutivo guidato da Tsipras.
Spesso si dimentica di considerare il prezzo che il popolo greco sta pagando per questa situazione e di valutare quanto la crisi economica si traduca in crisi sociale.
La prima riflessione da fare riguarda proprio la concezione che dello Stato sociale ha il nuovo esecutivo, in cui Syriza è il principale partito. Il fondamento è la volontà di attenuare le disparità sociali, introducendo un sistema normativo atto a garantire un’esistenza dignitosa a tutti, secondo il principio di uguaglianza. Il presupposto è che ad ogni cittadino siano assicurati i diritti basilari, come l’assistenza sanitaria, l’accesso alla pubblica istruzione. Ma il presente stato di crisi di certo non agevole l’opera di perequazione.
La seconda riflessione, invece, riguarda direttamente gli effetti sociali dell’allocazione di beni e risorse. Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, vanta il merito di aver scomposto il legame tra il concetto di utilità, in riferimento all’interesse privato, e il benessere che ne deriverebbe; in termini di sviluppo economico; ha portato, cioè, a mettere in discussione il riferimento al reddito quale attendibile indicatore del benessere collettivo. La sua trattazione dimostra come il livello di reddito sia importante nel favorire l’aumento delle possibilità di accesso a determinati beni e servizi, ma considera anche come la libertà di azione sia a sua volta compromessa da deficit di natura civile e politica, che impediscono in concreto il pieno sviluppo di un benessere collettivo.
E’ in merito a questi punti che occorre ricordare l’importanza dell’introduzione di riforme sociali per generare una reale condizione di relativo agio per la comunità.
In particolar modo, Syriza (di cui un intellettuale della portata di Chomsky “coglie il movimento verso est” in ottica anticapitalistica), tra gli impegni elettorali ha indicato con decisione il miglioramento delle condizioni occupazionali e il riconoscimento di una nuova soglia per il salario minimo; un piano di investimenti nel settore pubblico, nell’istruzione, nello sviluppo della conoscenza, nella tecnologia e nella filiera produttiva. Insomma, ampie dosi di welfare da finanziare attraverso l’abbattimento di privilegi fiscali e sociali, necessari anche all’estensione della protezione sociale a famiglie senza reddito, anziani, bambini, disabili e disoccupati. Un programma decisamente in antitesi con il concetto di austerity imposto dall’Europa e con i conseguenti continui tagli alla spesa sociale. Le prossime settimane ci mostreranno come si risolverà questo ossimoro.

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Arianna Segala



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