— Non c’è, — disse Marco accucciato davanti all’armadietto aperto, ispezionando l’interno con lo sguardo.
— Guarda meglio. Vedrai che c’è, — lo esortò Alessandra, ritta dietro di lui, con le mani sui fianchi.
— Non c’è, non c’è… — ribadiva Marco, spostando appena e in punta di dita le prime cose sul davanti.
— Cerca bene, sono sicura che c’è.
— L’abbiamo buttata.
— Impossibile! Era funzionante! Non vedi nulla di giallo?
— L’abbiamo buttata, non c’è!
— E quella cosa gialla laggiù? — fece Alessandra arcuando lo sguardo e scorgendo uno spiraglio giallo dietro una moka senza manico e una caraffa thermos mai-usata-ma-non-si-sa-mai nella parte più recondita dell’armadietto, a destra.
— Una cosa gialla, una cosa gialla… ah, quella là dietro, dicevi? — esordì Marco che fino all’ultimo aveva finto di non vederla. Fu costretto ad estrarre tutti gli oggetti in prima e seconda fila, inutilizzati da almeno dieci anni, lasciati lì a prendere polvere, come ripeteva sovente a sua moglie, sperando di sollecitarla a liberarsene. Sul pavimento radunò riviste, manuali da cucina e foglietti sparsi, tazzine, bicchieri e piatti scompagnati, contenitori e coperchi di tutte le dimensioni, accessori di robot da cucina ormai smaltiti, e: — Questa, intendevi? — domandò traendo fuori una grattugia in plastica.
— Ecco! Te l’avevo detto che non l’avevamo buttata! — esultò Alessandra, prendendola in mano e esaminandola quasi fosse una ceramica preziosa. — Ma senti che plastica! Senti com’è resistente! Non ne fanno più di così spesse! Questa è plastica che dura nel tempo, non si deforma e non si spezza, non come quelle di adesso che sembrano di vetro! — esclamava la donna, dando colpetti sulle spalle del marito inginocchiato e intento a reintrodurre nell’armadietto tutto ciò che aveva estratto, nel vano tentativo di ripristinare l’originario incastro.
— Sì, sì, ho capito, — borbottava Marco, pentendosi di non aver dato aria anche a quella “cosa”, come aveva fatto con tanti oggetti inutili che intasavano gli armadietti e i cassetti e con diversi soprammobili accatastati sulla credenza in sala che la donna si ostinava a conservare, quasi la loro perdita fosse inconcepibile. Invece, della loro sparizione (che lui attuava sottraendo un oggetto alla volta, meticolosamente) lei neppure se ne accorgeva e aveva solo il vago sentore che lì, una volta, ci fosse “più pieno”… — Ormai, — continuò il marito, — sarà talmente appiccicosa che dovrai buttarla.
— Buttarla? Scherzi? Basterà lavarla e funzionerà a meraviglia!
— Ma a cosa ti serve? Non avevi già una grattugia? — chiese l’uomo, mentre prendeva mentalmente nota degli oggetti crepati o inservibili.
— Devo macinare delle fette biscottate sbriciolate.
Marco si voltò a guardarla. — Fammi capire. Tutta questa fatica per tre fette biscottate?
— Quattro fette, — precisò lei. — Stasera faccio le cotolette. Mi serve il pangrattato per l’impanatura.
— E questo cosa sarebbe? — fece Marco alzandosi in piedi e esibendo una confezione di pangrattato della Mulirosso, estratto dall’armadietto pensile.
— Sì, lo so che c’era. Mi servirà anche quello. Farò un misto, così non si avvertirà quella punta di zucchero. Non farai mica lo schizzinoso, vero? Lo sai che non bisogna buttare via niente! Non te l’ha insegnato la mamma? Si buttano via solo le cose vecchie e rotte.
— In questo caso… — concluse Marco, afferrando la moglie per i fianchi e trascinandola verso la pattumiera.
— Stupido! — strillò Alessandra, puntando i piedi e divincolandosi. Poi, mugugnando, andò verso l’acquaio e incominciò a smontare la vecchia grattugia di plastica gialla, continuando a magnificarla, ricordando a gran voce quante volte l’aveva usata per tritare il pane secco. E le tante cotolette preparate quando, in tempi di stipendio magro e con due bambini in crescita, da due fette di petto di pollo ne ricavava quattro che, passate nell’uovo e impanate più volte, sarebbero diventate delle “signore porzioni” per accontentare occhi e stomaco — una furbata.
Mentre la moglie era di schiena all’acquaio, Marco si accinse a spazzare la “polvere dei secoli” uscita dall’armadietto insieme alle carabattole. E intanto pregustava la soddisfazione di scartare quelle cianfrusaglie di cui aveva preso nota — una alla volta, meticolosamente — nascondendole in cantina, per poi un giorno, senza farsi vedere dalla donna, caricarle nel bagagliaio dell’auto e portarle alla stazione ecologica. Qui sarebbero state avviate all’inceneritore oppure riciclate per ritornare in commercio sotto chissà quale forma. E già s’immaginava lo stupore della moglie, la volta che le avrebbe cercate e non più trovate. E la sua faccia tosta quando, all’accorata domanda di lei, avrebbe giurato e spergiurato, mano sul cuore, di non sapere assolutamente che “fine” avessero fatto. Il che — si giustificava candido — non sarebbe stata una bugia…
(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)
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Carla Sautto Malfatto
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