La galleria degli errori: per l’Italia mozione di sgomento
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Diego Bianchi della trasmissione “Gazebo” di Rai Tre, ha compiuto un piccolo capolavoro con la puntata andata in onda domenica 2 novembre. Una lezione d’informazione. E pensare che è bastato accendere la telecamera sulla manifestazione a Roma, il 29 ottobre, degli operai delle acciaierie di Terni, preoccupati per il loro posto di lavoro e per il futuro delle loro famiglie. Con tanti saluti ai tanti (troppi) salotti televisivi che, ormai, hanno stufato anche Maria vergine.
La telecamera di Bianchi ha filmato un’autentica galleria degli ‘erori’, detto alla romanesca.
Primo erore.
I lavoratori inscenano la loro manifestazione sotto le finestre dell’ambasciata tedesca nella capitale, in via San Martino della Battaglia. Nome che si rivelerà come un triste presagio per quello che è successo poi, purtroppo.
Il luogo è stato scelto perché le acciaierie appartengono alla teutonica ThyssenKrupp.
Finalmente, dopo cori e fischi, le porte dell’ambasciata si aprono e una delegazione di metalmeccanici viene ricevuta.
Il risultato del conciliabolo è un comunicato stilato da un funzionario uber alles, affetto da imperdonabile stipsi del tipo: In data odierna (un bell’incipit burocratico non si nega mai a nessuno) una delegazione di lavoratori delle acciaierie di Terni è stata ricevuta nella sede diplomatica della Repubblica federale tedesca in Italia…
Non ci voleva un mago per capire che un testo del genere avrebbe fatto spazientire anche il Dalai Lama. Se solo si fosse aggiunto, metti, che l’ambasciatore si sarebbe attivato in tutti i modi per rispondere alle preoccupazioni dei lavoratori, non avrebbe richiesto una fornitura straordinaria d’inchiostro. Ma dalla diplomazia nibelunga non è uscita una parola in più.
Così, invece di concludersi lì, la manifestazione decide di proseguire sotto le finestre del ministero delle attività produttive per avere qualche risposta meno offensiva.
Il problema è che nessuno che guida il corteo sa come arrivarci.
E siamo al secondo ‘erore’ fatale.
Le forze di polizia schierate e fino a quel momento in pratica inoperose, perdono il controllo della situazione. Anziché interloquire, per esempio, con il leader Fiom, Maurizio Landini, presente alla manifestazione quasi dall’inizio, per chiedere il tempo necessario per organizzare le cose e poi, chessò, scortare il corteo per le strade fino al ministero, vanno in confusione. Le immagini di Gazebo mostrano un paio di dirigenti di polizia che non sanno più cosa fare e a un certo punto parte l’ordine di “caricare”. Diego Bianchi, a scanso di equivoci, trasmette almeno un paio di volte l’ordine. Si scatena il putiferio e iniziano a picchiare i manganelli, con i risultati finiti su tutti i Tg.
Il volto del dirigente di polizia da cui è partito l’ordine è sembrato l’immagine plastica di un Paese nel quale contano più le conoscenze della conoscenza; nel quale merito e capacità rischiano di trovarsi relegati fra manganelli e scudi, anziché con la trasmittente in mano, sempre rassegnati ad eseguire in silenzio gli ordini surreali dei figli di qualcuno.
La fine dell’esemplare puntata è affidata alle parole di Marco Damilano, giornalista dell’Espresso e ospite fisso della trasmissione di Rai Tre. Dopo avere definito giustamente le riprese “Un documento eccezionale”, ha riportato le dichiarazioni testuali rese alla Camera il giorno dopo, il 30 ottobre, dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, su quanto è avvenuto e cioè il terzo erore clamoroso della vicenda.
Parole che fanno letteralmente a pugni con le immagini andate in onda e viste da chiunque.
Fa pensare se un ministro non riesce nemmeno ad ottenere dalla propria struttura l’esatta ricostruzione dei fatti, smentita platealmente dalle immagini di una semplice telecamera.
Hanno ragione Dose e Presta della trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”, quando ironizzano sul fatto che al ministro senza il quid, più che una mozione di sfiducia ne andrebbe mossa una di sgomento.
Ultima considerazione.
Tanto per dirne una, diventa persino comprensibile se il commissario europeo per la Crescita e gli investimenti, Jyrki Katainen, decide di fare il pelo e contropelo alla manovra di stabilità del governo italiano, quando all’estero vedono un ex presidente del Consiglio condannato a far passare il tempo agli anziani in una casa di riposo; un presidente della Repubblica che deve rispondere all’avvocato difensore del capo dei corleonesi sulla trattativa stato-mafia; e quando una semplice e pacifica manifestazione di lavoratori, giustamente preoccupati per il loro futuro, viene gestita con uno stile che farebbe rabbrividire persino l’estensore del Manuale delle giovani marmotte.
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Francesco Lavezzi
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