La fine dei giornali di carta e i rischi di appiattimento dell’informazione
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Il derby fra carta stampata e media digitali è in corso. La partita si sta giocando ma l’esito è scontato: i giornali così come li abbiamo conosciuti dal diciassettesimo secolo in poi sono destinati a scomparire. E’ solo questione di tempo. Vari sono i fattori che incidono: immediatezza nella diffusione dei contenuti e nell’accesso (la notizia arriva subito e ci raggiunge ovunque noi siamo), multimedialità (immagini, filmati, audio si integrano), interattività (produttori di informazione e fruitori dialogano), archiviabilità (ognuno può costruire e conservare la propria banca dati)… Ma l’elemento decisivo è quello economico: i giornali online hanno una matrice elettronica replicabile all’infinito senza costi incrementali, quelli cartacei devono sopportare le spese di stampa, distribuzione, gli appannaggi dei rivenditori e sobbarcarsi financo gli oneri dei resi…
Già ora in Italia si leggono poco i giornali cartacei e la tendenza oltretutto è in calo. Le copie di quotidiani distribuite nel 2000 erano superiori a 6 milioni, nel 2015 sono risultate inferiori a 3 milioni per una popolazione che sfiora i 61 milioni di persone. Questi dati peraltro vengono normalmente drogati dagli editori che, per aumentare la diffusione, regalano copie attraverso vari circuiti (hotel, treni etc) pur di gonfiare i rendiconti e risultare attrattivi per il mercato pubblicitario, sempre più orientato verso altri media: tv e web in primis. Pure questo espediente, però, ormai segna il passo. Guardando ai ricavi si nota infatti non solo il calo relativo alle vendite, con gli introiti che si riducono da 1.232 milioni a 1.024 milioni, ma un vero e proprio crollo si registra nei proventi pubblicitari che passano da 1.303 a 821 milioni (mentre quelli del settore online fra il 2010 e il 2015 passano da 1.177 milioni a 1.708).
Restando ai numeri, i lettori di quotidiani in Italia sono complessivamente stimati in 18,5 milioni, un terzo della popolazione (ma parliamo di ‘lettori da bar’, non di acquirenti, dato che le copie vendute come abbiamo visto sono meno di tre milioni).
Per quanto riguarda i dati di vendita dei vari quotidiani, aggiornati a giugno 2016, il giornale più letto resta il Corriere della Sera con 248 mila copie diffuse, ben 52mila in meno dell’anno precedente. Segue Repubblica con 241mila (e a sua volta 40mila copie in meno rispetto a dodici mesi prima), quindi la Gazzetta dello Sport (sostanzialmente stabile a 199mila), la Stampa a 160mila (meno 25mila), il Sole 24ore a 133mila (meno 20mila).
Si conferma dunque la tendenza a un forte calo, pari circa al 20% annuo, in un mercato già in crisi.
Quanto ai ricavi delle imprese che operano nel settore dei media, nel 2015 sono stati di 2.011 milioni nel comparto quotidiani (con un calo del 4,7%), 1.987 milioni per i periodici (-10%), 1.708 milioni per internet (con un incremento del 5,2%, in un segmento che però non abbraccia solo l’informazione in senso stretto).
Il progressivo passaggio dal cartaceo all’online, al di là degli aspetti economici, avrà però una significativa serie di implicazioni anche dal punto di vista della funzione che il giornale tradizionalmente svolge.
Fra i suoi principali compiti, oltre ad informare, c’è – forse meno scontato – anche quello di agevolare la comprensione del mondo. La “preghiera laica del mattino”, a cui allude Hegel racchiudendo in questa immagine “il rito della lettura del giornale”, esprime in metafora la richiesta di rassicurazione del lettore, bisognoso di una credibile guida che lo aiuti a districarsi nelle spire di un mondo complesso.
Per assolvere a questa funzione, il giornalista seleziona – nel limitato novero di avvenimenti di cui viene a conoscenza, fra i miliardi di quotidiani accadimenti – i fatti che considera significativi, li gerarchizza (cioè dà loro un ordine di preminenza) e poi ne trae notizie, sintetizzando gli elementi salienti di ciascuno.
I processi di selezione e sintesi restano elementi peculiari anche dei media online. Ma la gerarchizzazione rischia di sfumare quando, per esempio, il supporto di lettura è un tablet o uno smartphone, nei quali gli articoli si accodano l’uno all’altro spesso sulla base di un criterio banalmente cronologico.
Così, mentre la messa in pagina tradizionale all’interno della gabbia grafica del giornale cartaceo accentua o sminuisce il rilievo delle notizie (e dunque degli avvenimenti ai quali fanno riferimento, attribuendo loro un certo grado di importanza coerente con la valutazione redazionale) e focalizza in tal modo una mappa concettuale attraverso la quale è possibile leggere la realtà, soppesando il significato di ciò che accade e desumendone le connessioni più ampie, sul giornale online tutto rischia di appiattirsi.
In questo senso, la scelta del giornale è paragonabile a quella degli occhiali: le lenti devono adattarsi ai nostri occhi. I lettori si fidelizzano a una testata proprio perché avvertono una comune sensibilità. E’ il giornale che colora il mondo e gli dà un senso. E dalla sintonia fra chi scrive e chi legge scaturisce l’intesa fiduciaria che rende credibile l’eloquente immagine del mondo in scala ridotta che quotidianamente il giornale propone. Ed è sulla base di questa riproduzione che il lettore riesce a comprendere la realtà in cui vive.
Ma se tutto si riduce a una insignificante sequela di fatti, senza evidenti connessioni né specifico rilievo, il mondo si appiattisce e si opacizza. E tutto diventa più oscuro e incomprensibile.
E’ un problema che i media online attualmente scontano. Un limite certamente superabile, ma al momento insoluto.
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Sergio Gessi
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