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Ferrara film corto festival

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Jorn de Précy nacque a Reykjavik nel 1837. Figlio di un ricco commerciante di origini bretoni, lasciò l’Islanda per viaggiare e vivere tra Italia, Francia e Inghilterra, prima di stabilirsi, nel 1865, nella tenuta di Greystone, nell’Oxfordshire, dove visse ancora a lungo e si dedicò completamente alla realizzazione di un giardino. Nel 1912 uscì il suo unico libro: “The Lost Garden.” De Précy lo pubblicò a sue spese, non divenne mai un best seller e le poche copie circolarono in modo semi clandestino, ma le sue idee anticiparono in modo profetico, la cultura contemporanea del giardino. Confesso di averlo acquistato per caso, attirata dalla copertina della sua versione italiana curata da Marco Martella (“E il giardino creò l’uomo”, ed. Ponte alle Grazie, 2013), forse avevo letto qualche recensione, infatti ho ritrovato un articolo di Pia Pera tratto dal domenicale del Sole24ore, messo da parte e poi dimenticato. Ma il caso forse non esiste, certi fili di corrente passano tra le persone, attraversano il tempo senza rispettare i confini e fanno in modo che le strade di queste persone si incontrino, e la passione per il giardino, più precisamente, la condivisione di un certo modo di sentire il giardino, può darsi che sia uno di questi fili, sottili ma incredibilmente resistenti. Sono stata catturata da questo libro, dal modo diretto, ruvido e poetico usato dall’autore per descrivere concetti sulla natura dei giardini e sulle motivazioni che ci spingono ad essere giardinieri e a cercare la bellezza come risposta alla inciviltà. Pagine intense che raccontano come il rispetto dei luoghi non sia un vincolo, ma un gesto di ascolto, una semplice applicazione dei nostri sensi che precede ogni nostro capriccio e ci consente di abitare la terra in modo creativo e costruttivo, per arrivare alla descrizione di emozioni che sembrano le mie personali. La faccenda è diventata intrigante, mi sembrava di avere troppe cose in comune con questo personaggio vissuto un secolo fa, anche il suo giardino mi era familiare e mi riportava ad un luogo magico visitato anni fa, non in Inghilterra, ma in Francia, durante un viaggio di studio. Un giardino che ha molto influenzato le mie scelte di giardiniera. Infatti, non era un caso. Durante quel viaggio abbiamo avuto alcune guide speciali, una di queste è stata Marco Martella – scrittore, storico, direttore della rivista “Jardins”- e grazie a lui, il nostro gruppo ebbe la possibilità di visitare un giardino meraviglioso, chiuso al pubblico in quel periodo. Marco, alla fine di una intensa giornata ci propose di visitare un ultimo giardino fuori programma, e nonostante la stanchezza ci aprìil cancello, per condividere con noi la bellezza unica di quel giardino che stava studiando. Il giardino era veramente un incanto, la luce era perfetta per sottolineare l’armonia che può nascere quando l’abbandono permette alla natura di affiancare la mano dell’uomo. Sono momenti unici, fragili e irripetibili, ma possibili quando il giardiniere ha la consapevolezza del suo ruolo e lavora per rendere visibile questa bellezza. Questo giardino ha un nome e una storia, esiste e ricorda quello di Greystone, un giardino scomparso, o forse mai esistito, comunque vivo nelle pagine di rara poesia e sensibilità di Jorn de Précy (Marco Martella).
“Il tempo del giardino è dunque quello della vita. Non ci spinge in avanti, come il tempo meccanico che ormai governa le nostre esistenze, perché un vero luogo ci radica sempre nel tempo presente, qui e ora. Non vi sono scopi da ottenere, né obiettivi da raggiungere, perché la vita ha un solo fine: se stessa. E lo stesso la bellezza, che nasce costantemente dal processo vitale. (…) Ritrovare questa vita, la vera vita e questo tempo della natura che è anche il nostro vero tempo, il tempo che conosce il nostro corpo animale: ecco cosa ci spinge ad aprire il cancello di un giardino e a entrarvi, ogni volta come se ci accingessimo a entrare in un mondo a parte sepolto dentro di noi. Questo è il dono del giardino. (…) Ora, respirando tutta la bellezza del luogo, tuffandomi nel suo mistero, comprendo questa sensazione. Qui si vede che il mondo dorme. E forse questo giardino è il suo sogno.” Jorn de Précy

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Quattro giorni di eventi internazionali dedicati al cinema indipendente, alle opere prime, all’innovazione e ai corti a tematica ambientale.

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Giovanna Mattioli

È un architetto ferrarese che ama i giardini in tutte le loro forme e materiali: li progetta, li racconta, li insegna, e soprattutto, ne coltiva uno da vent’anni. Coltiva anche altre passioni: la sua famiglia, la cucina, i gatti, l’origami e tutto quello che si può fare con la carta. Da un anno condivide, con Chiara Sgarbi e Roberto Manuzzi, l’avventurosa fondazione dell’associazione culturale “Rose Sélavy”.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it