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Il Papa apre alle unioni civili e dice che tutti hanno diritto a una famiglia. Da tutte le parti si levano voci di gioia e si dice che questo Papa è visionario e coraggioso. Io credo che in parte lo sia, rompe è vero con certa tradizione cattolica, ma lo fa a metà e facendolo a metà crea dei grandi fraintendimenti.
Da cattolica e cristiana che ha curato, insieme a Cristina Guarnieri, il libro di Teresa Forcades Siamo tutti diversi: per una teologia queer edito da Castelvecchi, trovo che chi davvero teologicamente è stata rivoluzionaria è proprio suor Teresa. Lei nel suo libro argomenta con coraggio il sostegno alla battaglia dei gay e delle lesbiche cattoliche perché venga riconosciuto loro il diritto al sacramento del matrimonio. Non è una questione solamente politica, ma anche teologica, quando per teologia s’intende “l’esperienza umana di Dio”. Il matrimonio non è un sacramento perché la coppia porta in se la riproduzione della specie, ma è sacramento perché l’amore che lega due persone (etero o omosessuali, poco importa) rispecchia sulla terra l’amore di Dio, è un amore sacro dunque, in cui la partecipazione di Dio è intrinseca.
L’amore è creativo sempre, genera in tanti modi (non solo facendo figli) il seme del futuro dell’umanità. Ma, per potere dire forte e chiaro tutto ciò, è necessario rimettere in discussione tutta quella teologia della complementarità che accompagna l’esegesi del matrimonio. Il matrimonio non è sacro perché due, un uomo e una donna, avranno dei figli (non si spiegherebbe come mai una donna che è già in menopausa potrebbe sposarsi in chiesa, se questo fosse il fondamento cardine del matrimonio), ma appunto perché immagine dell’amore di Dio e immagine trinitario dell’amore. L’amore infatti è fecondo se trinitario, nel circolo dunque di una relazione non chiusa ma aperta. Due uno che si incontrano, non due metà che incontrandosi si completano. Questo è quello che io ho capito seguendo “la complessità molto semplice” (sembra un ossimoro ma non lo è: suor Teresa entra nella complessità della vita, ma la rende chiara con ragionamenti facili da seguire), delle sue argomentazioni che le permettono di andare alla radice delle questioni teologiche e antropologiche dei nostri tempi.

Dunque perché il Papa si rivolge alla politica e non dentro la stessa Chiesa, che in tal modo potrebbe davvero diventare evangelica nel suo senso più profondo? Certo facendo così sarebbe una rottura dirompente con le gerarchie ecclesiastiche e le rotture grandi preoccupano la tenuta delle istituzioni. Ma io mi chiedo: Gesù quando agiva si poneva questa questione? non mi pare. La sua azione è stata sempre rivoluzionaria, anche politicamente parlando. Se Gesù è il nostro modello, perché chiedersi sempre quale strategia usare per fare passi avanti, soprattutto quando si parla dell’evoluzione dei sentimenti umani? Perché non agire in conformità al sentire evangelico e avere fiducia nella provvidenza?

E infine il Papa si è spinto oltre e ha parlato di diritto alla famiglia di tutti. Cosa intende con famiglia? S’intende sempre e solo quella di una mamma un papà e dei bimbi, o di una comunità fondata sull’amore? Perché, se s’intende la prima, il diritto alla famiglia di qualsiasi coppia apre al diritto ai figli, che per me non è un diritto, e dunque a quell’abominio che è la pratica dell’utero in affitto, dove alle donne, come nella teologia della complementarità, viene riconosciuto valore solo in virtù della loro capacità riproduttiva e non in quanto esseri umani a pieno titolo.
Se invece si pensa alla seconda definizione (famiglia: comunità fondata sull’amore), allora il Papa è sì rivoluzionario e finalmente nuovo. Ma questo lo doveva specificare. Conoscendo lo sforzo che papa Francesco ha fatto per portare nel mondo il valore delle culture indigene dell’Amazzonia, credo che lui pensasse proprio a questa definizione, ma continuo a chiedermi, perché non lo ha specificato? Perché crede che questa definizione sia sottintesa in un Occidente che invece continua imperterrito la corsa verso gli interessi privati, dei singoli e disinteressandosi di un ben più ampio bene comune?

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Roberta Trucco

Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), femminista atipica, felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia con una tesi in teatro e spettacolo. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini. Amo l’arte, il cinema, il teatro e ogni tipo di lettura. Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.” Nel 2015 Ho scritto la prefazione del libro “la teologia femminista nella storia “ di Teresa Forcades.. Ho scritto la prefazione del libro “L’uomo creatore” di Angela Volpini” (2016). Ho e curato e scritto la prefazione al libro “Siamo Tutti diversi “ di Teresa Forcades. (2016). Ho scritto la prefazione del libro “Nel Ventre di un’altra” di Laura Corradi, (2017). Nel 2019 è uscito per Marlin Editore il mio primo romanzo “ Il mio nome è Maria Maddalena”. un romanzo che tratta lo spinoso tema della maternità surrogata e dell’ambiente.


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