LA FABBRICA DEGLI SCHEI
proposte eretiche, e intelligenti, per battere la velocità della crisi
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‘Schei’, espressione veneta derivante da una storpiatura del termine tedesco stampato sulle monete austriache durante il Regno Lombardo-Veneto. Da noi ‘baioc’, come le monete dello Stato Pontificio di cui Ferrara divenne periferia dopo la fine del Ducato estense. ‘Danee’, si dice in gran parte della Lombardia.
Il breve excursus linguistico prende a riferimento Lombardia, Triveneto e Emilia Romagna, perché sono la macroarea italiana nella quale gli schei giravano di più, quella nella quale la pandemia ha picchiato più duro, quella nella quale i soldi stanno finendo. E i soldi che finiscono sono un problema, ma diventano una tragedia quando finiscono proprio laddove ne giravano ancora tanti. L’istantanea più livida del panorama nazionale la regala l’Istat: un’azienda su tre rischia di chiudere, pericolo di chiusura per sei alberghi e ristoranti su dieci, quattro nuclei familiari su dieci fanno fatica a pagare le rate del mutuo. E sono passati cinque mesi scarsi dall’inizio della crisi.
Come mai l’Italia (almeno al confronto con le altre economie europee) sta pagando e pagherà, secondo le stime, uno tra i prezzi economici più salati alla pandemia? Ci sono due risposte possibili: la prima è che siamo i più coglioni, la seconda è che siamo i più solidali. Preferisco la seconda. Quando succedono cose fatali, definitive, come una pandemia mondiale, una guerra, una catastrofe, può emergere il giacimento, la vena essenziale di un popolo, che deve decidere quali sono i suoi valori di fondo, consapevole che la scelta comporterà comunque dei prezzi altissimi. L’Italia, pur con tutti i suoi limiti (e con la tragica eccezione lombarda, che aveva privilegiato altri valori prima del Covid)) ha scelto di proteggere la salute dei suoi cittadini più deboli: le persone anziane, gli immunodepressi, gli ammalati. Altri giacimenti (quello anglosassone) hanno imboccato una strada diversa, quella dell’immunità di gregge, che di fronte ad un virus potenzialmente mortale verso i già deboli rappresenta un’opzione cinica, che accetta il rischio di una selezione naturale che sacrifica i più fragili e gli anziani in nome della salvaguardia del modello economico esistente. E’ la linea di Boris Johnson e di Donald Trump, che assume aspetti criminali nella variante latinoamericana di Jair Bolsonaro (è di ieri la notizia che la nemesi l’ha raggiunto), che ha deliberatamente lasciato la gestione della salute pubblica nelle favelas alle reti di socialità autogestite o addirittura ai gangster locali, che così consolidano il loro controllo del territorio.
Naturalmente esco subito dall’agiografia del ‘buon italiano’ (anche Formigoni e Maroni, anche Fontana e Gallera sono italiani) per ribadire che il rigido e prolungato lockdown in nome della salvaguardia della salute pubblica avrà un costo economico e sociale, quindi anch’esso misurabile in termini profondamente e drammaticamente umani: salvare vite fragili appartiene ai fondamenti del diritto naturale, ma perdere il lavoro, dover chiudere l’azienda, ritrovarsi alla mensa Caritas sono drammi che segneranno l’esistenza di molti di noi, direttamente o indirettamente. E’ facile prevedere che i canali di decisione straordinaria (Next Generation EU) della politica europea saranno lenti.
L’area euro non è unita, ci sono interessi divergenti e solo alcuni leader sembrano essere consapevoli che la salvezza di una base comune permetterà di continuare ad amministrare le economie in modo “ordinario” – a dire il vero alcuni leader sembrano premere per distruggere questo equilibrio e crearne un altro sotto l’orbita russa. Ad ogni modo, se personalità come Von Der Leyen e Merkel (e Macron e Sanchez e Conte, perché no) dovessero mostrarsi all’altezza della sfida enorme di questo tempo, ugualmente i canali di trasmissione degli aiuti finanziari attraverso il sistema tradizionale (le banche) sarebbero troppo lenti e selettivi per le dimensioni della crisi. Al punto che diversi economisti di differente estrazione stanno proponendo di creare un canale parallelo al sistema bancario che accrediti denaro direttamente dallo stato sui conti dei cittadini a puro scopo di spesa e di consumo. Il più celebre tra questi è Nouriel Roubini, professore di economia alla New York University, divenuto celebre per aver previsto alcuni anni prima, tra lo scetticismo degli organismi ufficiali, la crisi finanziaria del 2008. Roubini propone una versione contemporanea del cosiddetto helicopter money, e ipotizza 1.000 euro a cittadino, a prescindere da età e condizione sociale. Una sorta di reddito di cittadinanza flat senza condizioni per tutti, ricchi e poveri. Perché senza distinzioni? Perchè la crisi è rapida, rapidissima, quindi ogni selezione di criteri ritarderebbe un intervento che deve avere l’immediatezza come caratteristica essenziale.
Roubini non è il solo propugnatore di un intervento immediato di pocket money. In Italia mi ha incuriosito la proposta di due professori universitari – Giorgio Ricchiuti e Sebastiano Nerozzi – più modesta nell’importo per individuo (300 euro) ma con cadenza mensile, che prevederebbe la creazione di un vero e proprio circuito parallelo in euro digitale, con conti dedicati (quindi diversi dal conto bancario o postale di proprietà) in cui i soldi accreditati (con risorse alimentate dalla BCE) servirebbero esclusivamente per i consumi, e se non spesi non potrebbero essere accumulati ma verrebbero persi; insomma, niente trasferimenti al proprio conto dei soldi ‘risparmiati’. Si spenderebbe usando smartphone o pc, mediante una app collegata al conto digitale.
Quanto costerebbe? Un sacco di soldi, recuperabili in parte tassando le erogazioni l’anno successivo sulla dichiarazione dei redditi. Ma siccome la BCE non è un’autorità fiscale, il compito di tassare la cifra verrebbe lasciato ai singoli Stati. In che modo? Ad esempio, in Italia, usando le aliquote Irpef, ma con due fondamentali correttivi: aliquota zero per chi ha avuto un danno reddituale dalla pandemia; aliquota 100% per chi non ha avuto nessun danno. Quindi il singolo Stato ricaverebbe un gettito fiscale aggiuntivo dalle risorse BCE, che potrebbe usare per redistribuire reddito, finanziare spese sanitarie, ridurre il proprio debito.
A correggere le eventuali obiezioni di sperequazione fiscale su base nazionale, parte di questo gettito aggiuntivo potrebbe confluire su un fondo europeo di redistribuzione, gestito da BEI (la Banca Europea degli Investimenti). Poi ci sarebbero le misure di contenimento del rischio inflazionistico – che, almeno in una prima fase, appare lontano. In tutto ciò, le banche – pur con regole possibilmente meno rigide delle attuali – continuerebbero a fare il loro mestiere di erogatori di denaro secondo principi di merito creditizio. Si tratterebbe di due canali assolutamente indipendenti e non comunicanti.
Si tratta di proposte che si muovono in una logica di supporto immediato, non strutturale. Quindi in qualche misura sottendono una ratio diversa da quella dei contributi finanziari di cui si sta discutendo in Europa, fatta eccezione per i contributi a fondo perduto (che però sembrerebbero riguardare, nella logica UE, prevalentemente le imprese). La logica sottostante è tuttavia condivisa sia dagli economisti proponenti sia dagli studiosi dei fenomeni criminali – come il nostro concittadino Federico Varese, professore di criminologia ad Oxford – che hanno immediatamente colto l’enorme rischio che la lentezza del sistema finanziario legale apra nuove praterie di proselitismo alla galassia di organizzazioni, caratterizzate da uno spiccato senso di controllo del territorio, che dispongono di denaro fresco da “regalare” ai bisognosi, in cambio di favori criminali da riscuotere alla prima occasione.
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Nicola Cavallini
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