La democrazia non è una cosa semplice.. Più che legittimo pensarla in modo diverso sul “governo del popolo” (così insegna l’etimo): cioè su come – attraverso quali sedi, strumenti, leggi, istituti – il povero popolo possa esercitare il suo potere di indirizzo e controllo sul Governo dello Stato. Qualcuno sostiene – anzi, è opinione corrente – che la democrazia è diventata una faccenda complicata perché siamo diventati in troppi: “Era più semplice nell’antica Atene!”. Sbagliato: basta ripassare un po’ di storia; anche ad Atene l’esercizio della democrazia era faccenda assai discussa e contrastata. Bastava un niente e la Democrazia si voltava in Tirannide.
In tutti i casi, “per fare una democrazia”, proprio a metà strada tra popolo e governo, c’è il tema della rappresentanza. La soluzione del famoso binomio gramsciano: governati e governanti. Nella democrazia rappresentativa – quella nata dalla Rivoluzione Francese e approdata nella nostra Carta Costituzionale – i rappresentanti, cioè i governanti, sono eletti a suffragio universale, mentre i partiti politici (non a caso, citati e protetti dalla Costituzione) sono il tramite perché tutta l’operazione vada a buon fine.
Nei momenti di crisi – e ancora ci viene in soccorso Antonio Gramsci: “La crisi è quando il vecchio muore e il nuovo non riesce a nascere” – cioè qui e ora, dentro la difficile era che stiamo attraversando, anche la Democrazia entra in crisi. Le sue forme tradizionali non sembrano più né efficienti né efficaci: Istituti limitati, insufficienti, retorici (se pensiamo al suffragio universale e alle elezioni periodiche), o addirittura dannosi e controproducenti (la grande crisi dei partiti).
Insomma, se da sempre la Democrazia non è una cosa semplice, da Tangentopoli in avanti, cioè da un quarto di secolo, la faccenda si è fatta sempre più complicata. Eppure, la nostra classe politica – tutta: maggioranza e opposizione, destra, centro e sinistra – non sembra si sia accorta di nulla. Continua per la sua strada. Il movimento grillino, guarda a caso, si è trasformato in partito a tutto tondo nel breve volgere di due anni. Il Partito Democratico, attraversato da correnti impetuose, discute e si accapiglia su come rifondare un “grande partito di massa”. La Lega si organizza come un vero e proprio partito-esercito (modello spartano più che ateniese). Alla sinistra del PD si fondano e rifondano partitini puntualmente destinati allo zero virgola.
Bisogna ammetterlo, uno dei pochissimi che si è accorto che la Democrazia ha bisogno di sperimentare forme nuove (se non vuole arrendersi alla Tirannide) è il vecchio comico Beppe Grillo. Così ha lanciato, un po’ a casaccio, due sassi nello stagno della politica. Primo sasso: “Uno vale uno”. Secondo sasso: “Uno vale l’altro”. Davanti all’assoluto discredito in cui versano i Governanti (eletti a suffragio universale e candidati nelle liste di partito), Grillo arriva a proporre un parlamento con il metodo dell’estrazione a sorte di cittadini incensurati.
Quella di Grillo è una battuta, anzi, una provocazione. Ma coglie a pieno un sentimento diffuso di sfiducia verso le forme della rappresentanza, gli istituti di governo, la politica tout-court. E se il popolo – ognuno di noi – non si sente più rappresentato, vuol dire, né più né meno, che la Democrazia è malata.
Malata quanto? Molto, mi viene da dire. Tanto malata – bloccata, banalizzata, screditata – che può rischiare anche di lasciarci le cuoia. Per lasciar posto alla tirannide, al “governo di uno solo” (uno come Pericle, o Mussolini, o Matteo Salvini).
Da qualche parte, però, qualcuna/o ragiona e sperimenta nuove sedi e nuove forme di democrazia. La sindaca Ada Colau e tutta l’esperienza della nuova municipalità di Barcellona è oggi un grande laboratorio politico. E altrove, in tante realtà periferiche, nelle città, nei movimenti (penso alla grande novità del Movimento dell’Acqua Pubblica e più in generale alle battaglie per i Beni Comuni) si lavora concretamente per fondare nuove forme della rappresentanza, nuovi istituti per l’esercizio del controllo popolare.
Non è per nulla scontato che queste nuove istanze ed esperienze riescano a fare breccia nella “testa quadra” di una classe politica abituata a vecchi rituali e affetta da nuove miopie. Ma per la grave malattia che si è buscata la democrazia, non vedo altre medicine in circolazione. Ci vorrà tempo, forse parecchio, ma “la vecchia talpa lavora”.
Ed è forse proprio questo lavoro di scavo, la sperimentazione di nuove forme di democrazia partecipata nelle città e nei quartieri, che può costruire pezzo a pezzo un’ Italia migliore. Un regalo che continuano a prometterci, ma che nessun leader (vecchio, nuovo o seminuovo) può garantirci.
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Francesco Monini
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