Nel romanzo di George Steiner (“Il correttore” Garzanti) in un dialogo tra un comunista e un gesuita, il primo dice, facendo un bilancio della sconfitta dei propri ideali: “Sì, abbiamo sbagliato. Sbagliato mostruosamente, come dici tu. Ma il grande errore, quello di sopravvalutare l’uomo, l’errore che ci ha traviato, è in assoluto la mossa più nobile dello spirito umano nella nostra tremenda storia.” Il gesuita replica: “Il capitalismo non ha mai fatto questo errore. Non capisci? Il libero mercato si basa sull’uomo medio. E che media mediocre! Sai, professore, l’America è probabilmente la prima nazione e società nella storia dell’umanità a incoraggiare gli esseri comuni, fallibili e impauriti, a sentirsi a loro agio nella propria pelle.”
In democrazia vince chi sa parlare all’uomo comune. Una parte lo farà senza grandi ambizioni di cambiamenti; un’altra cercando di realizzarli per costruire una società di cittadini liberi e uguali. Comunque, lo scontro tra queste due linee non può saltare la considerazione e il consenso dell’uomo medio. Queste riflessioni mi vengono dal bilancio degli insuccessi di tutti quei volonterosi che provano a costruire movimenti e liste elettorali nel nome dei poveri, dei lavoratori e di grandi cambiamenti, azioni che poi scoppiano per risse interne fra personalità, oppure raccolgono consensi elettorali irrilevanti.
I fattori di questi insuccessi sono numerosi. In questa sede vorrei richiamarne uno fondamentale che riguarda la natura della democrazia nelle società del nostro tempo. Da un punto di vista strutturale, la democrazia obbedisce a due principi contraddittori e opposti. Da un lato essa è il regime che si fonda su norme di natura universale (eguaglianza dei cittadini, giustizia sociale, diritti e doveri uguali per tutti); dall’altro, permette ai singoli e a gruppi di interessi di organizzarsi e di battersi per affermare il proprio particulare.
Le contraddizioni e la vita delle democrazie dipendono dalle varie politiche in grado di conciliare e combinare di volta in volta i bisogni corporativi dei singoli e dei gruppi con i valori universali delle liberal-democrazie. Luigi Einaudi ha sintetizzato e definito efficacemente questo ossimoro del regime democratico: “La democrazia è un’anarchia degli spiriti sotto la sovranità della legge.” Deve essere chiaro, quindi, che entrambe le posizioni (difesa degli interessi particolari e affermazione dell’interesse generale) sono legittimamente presenti nella vita di una democrazia. La domanda che dobbiamo porci è come far sì che i nodi che si creano si possano sciogliere nella direzione di una società più giusta e più libera.
Se dovessi indicare il limite che blocca l’espansione di una forza di sinistra adeguata a questo tempo globale e di permanente trasformazione, lo indicherei così: non saper proporre una saldatura convincente tra un’analisi approfondita del presente, l’indicazione di obbiettivi e progetti per il futuro, la selezione di una classe dirigente credibile. Dell’analisi del presente fa parte l’abbandono di atteggiamenti aristocratici verso i luoghi comuni che plasmano il modo di pensare e di vivere delle persone normali. I luoghi comuni non sono solo delle banalità. Spesso sono contenitori simbolici che raccolgono domande ritenute importanti nella vita quotidiana. Se non vengono esaminate con attenzione per ricavarne indicazioni di soluzioni nell’interesse generale, finiscono nel tritatutto dei demagoghi che ne fanno un uso contro la democrazia.
Come rappresentare, dunque, la dialettica ideale di una democrazia matura? C’è chi punta sul rafforzamento di un confronto pubblico razionale con gli interessi di gruppi e di poteri forti, con l’obbiettivo di intaccare privilegi e diseguaglianze: la democrazia come casa di vetro. E c’è chi cerca di sottrarre gli interessi più corporativi o più forti alla trasparenza di un confronto pubblico (nelle Istituzioni e nella società civile), trasformando così la democrazia in un ideale irraggiungibile. Se dovessi tradurre questo discorso in un linguaggio filosofico, direi che il compito più difficile è tenere insieme logos e polemos, cioè dialogo razionale e conflitto sociale e politico. Oggi, siamo in una situazione in cui è vincente chi sostiene il primato assoluto della decisione di una élite ristretta che considera il dialogo una perdita di tempo, la vita delle Istituzioni rappresentative un fattore di inefficienza, le Costituzioni un ferrovecchio del passato, i partiti solo delle consorterie clientelari irriformabili, e il conflitto un demone destabilizzante della società.
Sta tramontando la concezione di una democrazia che funziona secondo una logica mista, cooperativa e conflittuale, dialogica e polemica insieme? Cosa si sta preparando al suo posto?
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Fiorenzo Baratelli
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