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Sarebbe ora di chiedersi di cosa veramente abbiamo bisogno. Cosa manca a questa società che piange spazi umani, inconsciamente privata di famiglia, ideali e futuro. Alla ricerca di lavoro, casa, vestiti alla moda, cibi esotici, sballi notturni e partite di Champions League. Ragazzini/e di 13-14 anni da lasciare alle 22:00 in discoteca e da andare a riprendere all’1:30 del mattino dopo, una serata con un buco in mezzo.
Cosa manca sul serio alla nostra giornata? Difficili soluzioni quando si insinua il bisogno della velocità di decisione, quando il tempo è tiranno. Il tempo che manca anche per fare la spesa, eppure i negozi non chiudono mai, i supermercati sono sempre lì con le loro commesse tristemente sorridenti di domenica come a Natale, di sabato come a Pasqua. Giornate senza pausa, senza tempo.

I romani avevano costruito un impero enorme tenuto insieme dalle loro strade al fine di favorire i loro commerci e di spostare le legioni dove erano necessarie nel minor tempo possibile. Riuscivano a percorrere anche 30 km al giorno e in un mese potevano coprire una distanza di un migliaio di chilometri. Noi possiamo fare lo stesso in qualche ora, un successo enorme. Ma dov’è finito il tempo risparmiato? A volte lo rivediamo nella scelta di un prodotto su uno scaffale perfettamente uguale a un altro posizionato in un supermercato a migliaia di chilometri di distanza, quando ci sembra di avere grandi capacità di scelta, di avere il mondo a portata di mano.

Lo spazio umano manca in questa nuova società che oramai è già vecchia e come noi vecchi si imbruttisce sempre di più, diventa inguardabile, a volte tristemente inutile al nuovo che fatica ad arrivare perché non trova spazi di espressione.
Le città non parlano più a loro stesse e oramai nemmeno più i quartieri e domani nemmeno i condomini che già non riescono ad andare oltre il buongiorno di cortesia. Lo spazio vitale si restringe a se stessi perché il tempo è poco ed è tiranno ed anche per i figli non ce n’è mai abbastanza. Certo si trova il tempo per accompagnarli in palestra, alla festa di compleanno, in discoteca ma è difficile fermarsi a chiacchierare delle passioni, delle avventure della giornata, delle aspirazioni, dell’aria pulita, del mare.

Tempo per confondere gli spazi umani, mescolarli, riempirli di contenuti che non trovi sugli scaffali del supermercato la domenica, quando una commessa non resterà a casa sua.
Il nostro essere consumatori, oramai a tempo pieno. Forse qui è andato a finire il tempo risparmiato, forse il risparmio è stato massimizzato, economicizzato, reso merce anch’esso. Tutto ciò che si vuole rendere merce viene prima reso raro, difficile da trovare esattamente come il denaro, come il lavoro e qualsiasi altra cosa abbondante in natura, ma resa falsamente scarsa per poter essere venduta al prezzo della libertà dei più.

Tempo e libertà camminano di pari passo e li stiamo perdendo entrambi. Forse non sappiamo nemmeno più piangerli perché non li riconosciamo più. È un processo lungo di spersonalizzazione e di creazione della massa iniziata più o meno un secolo fa oramai. Edward Bernays uno dei precursori del controllo delle masse attraverso i concetti di mente collettiva o fabbrica del consenso capace di far apparire il fumo delle sigarette come una conquista delle donne, un po’ come quando le stesse hanno conquistato nei tempi più recenti il diritto di combattere in prima linea guerre lontane da casa.
Hitler o Stalin e il controllo dell’opinione pubblica, Wilson (ieri come oggi) che entrava in guerra per portare o mantenere la democrazia in Europa e non per combattere i regimi nemici. E i banchieri della Lehman Brothers: “dobbiamo cambiare l’America: da una cultura dei bisogni, a una cultura dei desideri” scriveva Paul Mazur da Wall Street.
E i desideri si sa, vanno oltre quello di cui si ha bisogno o di quello che serve o di quello che è disponibile. Il desiderio va oltre e difficilmente si realizza, e allora si è sempre alla ricerca, in una continua lotta contro il tempo.

È importante il controllo anche del linguaggio nella società moderna, spersonalizzata e senza tempo a disposizione. In questa società “non ci sono risorse per tutti”, per cui diventa normale ed accettabile che ci siano i poveri e i ricchi. “Ad uno Stato è richiesto l’equilibrio di bilancio”, per cui diventano accettabili le tasse oppure la diminuzione della qualità nei servizi o il loro razionamento.
Potenza delle parole che giustificano l’esistenza di re e principi che non combattono più guerre, ma fanno stragi peggiori, che non si vedono, ma distruggono Stati e popoli con la cultura della scarsità e la manipolazione delle parole.

Girando per i quartieri si vedono ancora gli alberi e i fiori. E l’aria è ancora lì, da respirare. I romani arrivavano dappertutto con le loro legioni, soffrivano, ma avevano la natura intorno e potevano guardarla mentre sudavano. Adesso potrebbe essere meglio, potremmo guardare senza sudare e faticare, ma dobbiamo vincere l’ultima battaglia, quella del tempo-merce.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info


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