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Ci sono città che si sognano. Non so se una città che ti trovi ad abitare bell’e fatta si può sognare. Sognare è un esercizio che si coniuga al presente per immaginare il futuro.
Ridotte come sono state a terreno di battaglia per conquistarne l’amministrazione e per di-fenderle dall’invasore straniero, pare che abbiano sottratto alle città perfino il diritto di essere sognate, e a noi che le abitiamo, di sognarle.
Eppure la città è storicamente luogo aperto, spazio che chiama da fuori e con il fuori dilata la sua anima.
Pare che, entro il 2025, il 75% della popolazione mondiale vivrà nelle città. Quindi, l’urbanizzazione definitiva dell’umanità sta avvenendo proprio ora, dopo quarantamila anni dalla comparsa della nostra specie.
Dunque niente di più naturale che ripensare la città, immaginandola, sognandola: pensare cioè che anche le città possono o devono cambiare. Che da qualche parte esista un modo diverso di abitare la città. Un modo dove ad esempio non sia più necessario vendere la città con spettacoli da baraccone come l’incendio del castello.
Ci sono città che vantano d’essere ‘città per i bambini’, i bambini tutti, anche quelli dei campi nomadi, anche quelli a cui ancora non siamo risusciti a dare cittadinanza. La città non può essere un bosco dove i bambini si perdono, ma dove i bambini trovano la loro strada.
Nidi e scuole dell’infanzia per tutti, sono il minimo sindacale, insieme alla cura dei parchi giochi; ma non basta. Quanti musei interattivi d’arte, musica, scienze e tecnica si potrebbero fare, necessari allo sviluppo della curiosità e dell’intelligenza dei nostri bambini.
Quanti parchi tematici. dalle fiabe alla storia, alle opere d’arte, alla scoperta della natura, delle sue piante e dei suoi animali, ai laboratori artigiani, alle botteghe dove stupire e apprendere. La città è abitata da bambini e bambine, e se non serve alla loro crescita, a chi deve servire? Dalla loro intelligenza dipende l’intelligenza futura della città.
Vorrei che la preoccupazione prima della mia città non fosse fare soldi, ma fare persone, persone di tutte le età, con un occhio di cura per ognuno di loro.
Una città che ha cura particolare per le sue ragazze e i suoi ragazzi, impegnati a studiare, a diventare gli adulti che domani dovranno amministrare la città. Che non fossero confinati nei loro anni migliori tra le mura delle scuole-carceri, ma che a loro venisse riconosciuto un ruolo fondamentale per il destino della città. Che intorno a loro ci fosse una catena di occasioni di sapere e di conoscere, con lezioni che, anziché svolgersi nelle aule delle scuole, si svolgessero negli spazi dedicati alla didattica dei musei, che trovassero nelle biblioteche delle piazze (agorà) dove discutere, ascoltare e approfondire, e nei teatri dei luoghi per incontrare l’arte ma anche per esprimere se stessi. Che anziché dei laboratori di informatica scolastici, trovassero spazi multimediali a loro disposizione.
Dare un senso, un ruolo sociale ad essere ragazzo e ragazza nella città, come contribuire al suo decoro, come produrre materiale didattico dagli oggetti agli ebook per i compagni più piccoli, come avere un valore sociale concreto anziché solo pensato ed astratto. Raccontare alla città i loro progressi nello studio con un festival dedicato tutto a loro e all’apprendimento.
Che bambine e bambini, ragazze e ragazzi non dialogassero solo con i loro insegnanti e con i loro genitori, ma che trovassero in ogni adulto qualcuno disposto ad allungargli una mano per aiutarlo a crescere.
Vorrei una città di adulti impegnati a tessere relazioni per ricercare e arricchirsi di pensieri, di idee, di iniziative, di scoperte vicendevolmente. Hub scientifici e tecnologici, città della scienza e della tecnica, città della creatività e degli scambi a livello globale. Luoghi di studio e di ricerca per crescere economicamente e per combattere le insidie sempre nuove dello sviluppo. Città del mondo e non città di provincia. Che la cura di ognuno fosse quella di studiare e capire, i tempi per lo studio sono destinati a dilatarsi, le occasioni e le possibilità si moltiplicano ogni giorno per ognuno di noi.
Città che non sprecano risorse umane ma che le crescono e le coltivano, città in cui ognuno possa avere un ruolo e non si senta escluso o messo da parte.
Città dove gli anziani non vengono relegati nelle loro malattie, al parcheggio dei centri sociali, ma diventano risorse di memoria e di esperienze da investire nell’interesse di ognuno.
Una città nuova perché abbiamo necessità di sguardi nuovi, non abbiamo bisogno di guardare al passato con gli occhi di sempre, ma è dal presente che dobbiamo apprendere a vedere in modo del tutto originale il futuro che sta davanti a noi e che desideriamo costruire.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it