LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Tra scuola e impresa non mettere la Crusca
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La questione è controversa perché è come le ricette per fare le torte, dove le dosi sono importanti. Così in una circolare del ministero dell’istruzione quant’è la dose di italiano e quant’è la dose di inglese che ci deve essere?
Diciamo la verità, se c’è una stonatura con le competenze e la lingua inglese è l’uso della parola “Sillabo”, che sa di altri tempi e che avrebbe dovuto far piacere all’Accademia della Crusca, che invece ha protestato per l’abuso di termini inglesi proprio nel Sillabo con cui il Miur ha dettato le linee sull’educazione all’imprenditorialità nelle scuole secondarie di secondo grado del nostro paese.
Paese davvero strano, mentre la Crusca denuncia la colonizzazione ad opera della lingua inglese delle circolari del ministero dell’istruzione, nessuno intorno si rende conto che quel Sillabo, con il retro gusto alla Pio IX, giunge con un ritardo di almeno dodici anni.
Qualcuno si deve essere distratto nel frattempo e aver scordato le otto competenze chiave necessarie ad ogni cittadino per inserirsi con successo nell’ambito sociale e lavorativo, dettate nel 2006 dal Parlamento Europeo. Tra queste competenze c’era e c’è: “spirito d’iniziativa e imprenditorialità”.
Richiamo, per rinfrescare il ricordo, le altre competenze: comunicazione nella madre lingua; comunicazione nelle lingue straniere; competenza matematica e competenze di base in scienze e tecnologia; competenza digitale; imparare ad imparare; competenza sociale e civica; consapevolezza ed espressione culturale.
Sono le competenze europee per l’apprendimento permanente, che i nostri studenti al termine del biennio delle superiori, e quindi dell’obbligo scolastico, devono aver acquisito. In tutti questi anni gli studenti sedicenni sono usciti dalle nostre scuole con la certificazione che queste competenze sono state raggiunte.
Evidentemente, almeno per una competenza come “spirito di iniziativa e imprenditorialità”, visto che il Sillabo è uscito solo ora, non può che essersi trattato di una finzione all’italiana.
Ma noi siamo così aperti al mondo e così consapevoli dei ritardi del nostro paese che ci preoccupiamo solo dell’eccesso d’inglese nelle linee di indirizzo stilate, con ragguardevole ritardo, dal ministero.
Così in una sola giornata non c’è quotidiano nazionale che non abbia il suo titolo e il suo articolo sullo scontro tra Crusca e Miur. E la risposta del ministro è peggio della polemica, quando rivendica la difesa della lingua nazionale attraverso le olimpiadi di italiano, come le olimpiadi della matematica o del latino. La lingua ridotta ad uno sport che non tutti praticano.
Qualche dubbio sullo stato di salute del paese a questo punto è legittimo nutrirlo.
Credo che la Crusca, a cui evidentemente non piace la “Taxonomy of Entrepreneurship Education”, dovrà arrendersi alla dura realtà che il mondo dell’impresa, in un mondo globalizzato, si esprime in inglese, come la rete, la ricerca e tante altre cose, che nulla tolgono all’italiano forbito e neppure ne costituiscono un attentato.
Andrebbe invece sottolineato, in un paese che ha bisogno di impresa e che ha da recuperare anni di divorzio tra scuola e mondo del lavoro, l’importanza del documento ministeriale.
Perché le linee guida di educazione all’imprenditorialità sono il risultato dell’incontro tra scuola e società civile, imprese, associazioni professionali, istituzioni, mondo accademico e altre organizzazioni coinvolte, a vario titolo, nelle tematiche in questione. Un metodo di dialogo e di collaborazione con il territorio che dovrebbe essere la cifra corrente delle nostre istituzioni scolastiche, al di là del fatto che sarebbe davvero difficile concepire un’educazione all’imprenditorialità che non nascesse da un legame forte con la prassi quotidiana e con chi è pienamente coinvolto nella creazione di impresa. Oltre all’idea di responsabilizzare la società, tutta, nei confronti della scuola come hub di coltivazione delle risorse umane per il suo futuro.
Pensare che tra i banchi di scuola si possa apprendere anche a trasformare le idee in azioni, a praticare creatività e innovazione, apre davvero il cuore.
D’altra parte se non si vuole combattere solo a parole la dispersione scolastica, la disoccupazione giovanile e il fenomeno dei giovani neet, sviluppare l’educazione all’imprenditorialità sembra una delle strade giuste da intraprendere, con buona pace della Crusca e degli eccessi d’inglese.
Può darsi che un po’ di italiano ci rimetta, ma ci guadagneranno senz’altro i nostri giovani, il paese e la nostra collocazione in Europa.
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Giovanni Fioravanti
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