Per il momento non si farà, ma nel contratto del governo pentaleghista la cultura se ne sta tra il conflitto d’interessi e il debito pubblico. Scuola, università e ricerca occupano nell’elenco rispettivamente la ventiduesima e trentesima posizione. Anche la geografia dei capitoli è importante, perché si è scelto l’ordine alfabetico della lista della spesa più che la coerenza di un disegno politico che evidentemente non c’è, prevalendo la rivendicazione sul progetto paese.
Così, se qualcuno avesse nutrito nei confronti del governo del cambiamento la speranza di uno sguardo nuovo, immediatamente si deve ricredere.
Nuovo sarebbe stato un capitolo dedicato alla Conoscenza, perché l’ignoranza è anche quella che ci impedisce di scegliere e di disporre delle persone giuste di cui avrebbe bisogno il paese per essere governato. Non dico che ci sarebbe piaciuto vedere trattati istruzione, università e ricerca in un capitolo dedicato alla Società della conoscenza, forse un nuovo troppo nuovo, specie da parte di chi guarda all’Europa e al mondo con un occhio storto.
Ma se l’economia è ferma, se la capacità del nostro paese di crescere e di competere è fortemente compromessa, forse non è solo colpa della crisi finanziaria e dell’austerità che altri ci hanno imposto.
Dovremmo chiederci cosa abbiamo investito, in termini quantitativi e qualitativi, in capitale umano. Perché il capitale umano che abbiamo cresciuto e allevato nelle nostre scuole e università ci lascia per andarsene all’estero. Neppure siamo riusciti a crescere una generazione con una cultura digitale all’altezza della rivoluzione tecnologica.
C’è un buco in termini di società della conoscenza a cui non si possono voltare le spalle, facendo finta di niente, perché il conto da pagare sta già ipotecando il futuro nostro e dei nostri giovani.
Il vuoto di conoscenze di fronte alla rapidità dei processi di innovazione tecnologica riduce la nostra capacità di immaginare quali saranno i beni e i servizi richiesti nei prossimi anni e quali le nuove professionalità necessarie a produrli.
Siamo di fronte ad una rivoluzione radicale dell’organizzazione del lavoro che necessita di una altrettanto radicale rivoluzione delle conoscenze, non vorremmo che l’istruzione nel nostro paese tornasse ad essere la pagina più cupa della sua storia, come ebbero a scrivere agli inizi del secolo scorso i due storici britannici Bolton King e Thomas Okey nel loro saggio “Italy Today”.
A livelli quantitativi e qualitativi l’istruzione formale dei nostri giovani è ancora al disotto di quella degli altri paesi avanzati. Questo è particolarmente grave se si osserva che un paese come l’Italia, povero di risorse materiali e in ritardo su molti fronti non solo economici, dovrebbe mirare ad investire nella scuola e nella conoscenza ben molto di più della media degli altri paesi, per tentare almeno di recuperare.
Il fatto è che il ritardo non è solo dei giovani è anche degli adulti che mancano di competenze logico-analitiche e di comprensione.
Investire sulla conoscenza, disseminare le conoscenze è una priorità se non vogliamo rischiare l’arretratezza e di essere tagliati fuori, non c’è reddito di cittadinanza che possa ripagare dell’ignoranza, che non ha le forme di ieri, più subdola perché non la conosciamo, ci sfugge e si fa più difficile da riconoscere, perché ignoriamo d’essere ignoranti.
Avremmo bisogno di una società capace di sinergie con la scuola e l’università, capace di crescere un capitale umano che costituisca il suo vero patrimonio culturale da spendere e investire. Sentirsi cittadini perché patrimonio culturale del proprio paese, perché risorsa umana. Sentirsi riconosciuti come risorsa umana, anziché voce di un bilancio di entrate e di uscite.
Si chiamano “cittadini” questi che promettono il governo del cambiamento, ma non promettono nuove cittadinanze, che non possono essere sempre quelle di ieri contrattate a nuovi prezzi, le nuove cittadinanze sono quelle promesse dalle frontiere della conoscenza, della ricerca e dei saperi, partecipati il più possibile da tutti, diffusi e appresi, perché è nella condivisione delle conoscenze e nella consapevolezza che si basa la democrazia e la possibilità di costruire i futuri. La società della conoscenza non è solo uno slogan, è l’unica condizione che oggi ci è data per abitare il presente e preparare il domani.
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Giovanni Fioravanti
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