Può darsi che tutelare i nostri giovani da pericoli come il consumo di droghe non abbia prezzo. Ma non è così naturale che a scuola entrino le forze dell’ordine. È successo in questi mesi un po’ in tutta Italia, a Roma come a Ferrara. Dobbiamo capire dove inizia e dove finisce il confine invalicabile di ogni istituto scolastico, perché la scuola non può rinunciare a essere luogo per eccellenza della tutela e dell’accompagnamento di bambini, adolescenti, giovani. Spazio di protezione e ascolto di chi tra noi è più fragile, più esposto a sbagliare. Per questo, là dove si educa, non possono subentrare carabinieri e cani poliziotto. Non si tratta di democraticismo pedagogico, di sottrarre gli studenti alle loro responsabilità, alla legalità e all’educazione. Ma ci devono essere aree protette, tra queste, prima di tutto, le scuole e gli ospedali. Non significa extraterritorialità, neppure zona franca, ma semplicemente attenzione, comprendere la scala degli obiettivi, le priorità che non possono venire meno.
Coordinare gli sforzi volti a prevenire e contrastare lo spaccio di droga, come altri fenomeni di devianza sociale tra i giovani in età scolare, non può che incontrare la piena condivisione delle famiglie e degli istituti scolastici, ma ciò non può avvenire a prescindere dalla considerazione che, prima di impressionare e punire, è indispensabile comprendere e recuperare, tenere aperta la strada della confidenza, della fiducia, del dialogo. Si tratta di non guardare la persona al presente, ma in prospettiva.
Al liceo Virgilio di Roma l’arresto, durante la ricreazione, di un ragazzo sorpreso a vendere hashish a un compagno, ha prodotto la protesta di genitori e di centinaia di studenti, non certo per sottovalutazione, ma semplicemente per il motivo che la scuola, in quanto luogo sociale protetto, richiede modalità di approccio e di intervento ben diverse dalla messa in scena dello spiegamento di forze della polizia. Un’esibizione nutrita dall’idea che solo l’intimidazione e la punizione possano far desistere la fragile personalità degli adolescenti dall’intraprendere la strada della droga e della devianza sociale. Un modo sbrigativo per affrontare una questione complessa che compete anche alla scuola come luogo di relazioni, di scambi, di processi formativi, di fiducie e di attese, senza blitz, cani poliziotto e forza armata.
Per nessun motivo può venire meno la piena coscienza che le scuole sono luoghi particolari, altamente delicati, perché luoghi di tutela, cura, sostegno e dialogo per le giovani generazioni.
Se la scuola, in virtù di un ruolo male inteso, non assolvesse a queste prerogative, rischierebbe di tradire la fiducia dei suoi utenti, fondamento di ogni relazione educativa, condizione prima per lasciare aperta ogni possibilità alla confidenza e alla comunicazione tra alunni e docenti, protagonisti di quei complicati e delicati atti ad alta intensità educativa che ogni giorno si concretizzano nelle aule scolastiche del nostro Paese.
Mancare su questo terreno comprometterebbe ogni speranza di successo nella lotta contro i comportamenti devianti, con la conseguenza di lasciare spazio e voce solo alla condanna, all’etichettamento, all’emarginazione, con il risultato di aver fallito nello svolgere il compito formativo e, in particolare, nei confronti dell’educazione alla legalità, al rispetto di sé e degli altri.
Ogni istituzione scolastica è chiamata a esercitare i propri compiti nell’ambito sancito dalla nostra Carta Costituzionale e dalla legislazione di uno Stato di diritto, senza travalicare mai questi confini, a tutela del rispetto delle singole competenze istituzionali e del ‘valore’ che è ogni ragazza e ogni ragazzo per il presente e per il futuro della nostra società.
Per esperienza quanti operano nelle scuole sanno bene che la devianza giovanile è il prodotto di un dis-agio, di un non-logos, di un non-senso della vita. Chi è in crescita, chi ‘crea se stesso’, come le nostre ragazze e i nostri ragazzi, ha tutto il diritto di frequentare una scuola che garantisca di poter ricercare, con a fianco l’adulto insegnante, l’agio, il logos e il senso da dare alla propria esistenza, i ‘significati’ di cui ha bisogno, di cui sente la mancanza, anche se inconsapevolmente. Ciò deve avvenire in un ambiente disinteressato, sereno e sinceramente rassicurante, tutelato e protetto da ogni possibile minaccia che possa vanificare per sempre i non facili sforzi e più spesso i tormentati percorsi di ogni singolo.
Garantire una fattiva, leale e doverosa collaborazione tra istituzioni scolastiche e le forze dell’ordine che operano sul territorio, richiede attenzione, sensibilità, intelligenza, capacità di valutazione per non tradire l’ambito dei doveri che la legge assegna a ciascuna istituzione, con particolare riguardo alla tutela e al rispetto prezioso dello sviluppo della persona umana.
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Giovanni Fioravanti
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