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Logorato dal tempo, un rito logoro continua ad essere consumato in maniera logorante ogni anno, portandosi dietro il logorio delle intelligenze. È l’esame di Stato. Il diritto dello Stato a farti l’esame. Lo Stato che per anni ti ha nutrito di istruzione, interrogato, testato e valutato ora che lo stai per abbandonare, per prendere altre strade, vuole vedere cosa è riuscito a fare di te. Sembra che allo Stato interessi scoprire come fai a pensare, come usi e cucini ciò che nella tua giovane mente è riuscito a inculcare.
Sono anni che lo Stato è appagato di sé e che le mele che non gli riescono hanno percentuali dello zero virgola zero. Tanto che da tempo medita di abbandonare questo arnese antico dell’esame, svuotandolo sempre più di sostanza, ma senza mai avere il coraggio di disfarsene definitivamente.
Il fatto è che, ormai da diversi anni, l’esame non serve ai suoi diciottenni in uscita dal sistema scolastico ma alla comunità tutta, a farsi l’analisi del sangue sullo stato di salute dei suoi valori e della sua democrazia.
Nel tempo sono i fantasmi della cattiva coscienza del paese a comparire tra le tracce della prima prova d’esame, dal rapporto con la modernità fino al rapporto con la natura, dall’amicizia agli ingredienti freudiani del rapporto padri figli.
O sono le celebrazione e le ricorrenze per sondare come regge la memoria collettiva o i diritti umani per saggiare quanto ancora è alto il baluardo della coscienza comune a loro difesa.
Così si compiono le discrasie pubbliche. Il giorno prima il signor ministro degli Interni del Paese annuncia il censimento dei Rom, il giorno dopo le giovani e i giovani italiani come prova d’esame si trovano da analizzare una pagina del Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani sulla schedatura degli ebrei.
A prendere il sopravvento nell’opinione pubblica e sulla stampa, nella falsa coscienza del paese, non è la discrasia, piuttosto il polso di quanto ancora sia sensibile la società di oggi alla ferita di cinquant’anni prima, prodotta dalle leggi razziali di Mussolini.
Non ci si avvede che la ferita è qui, viva e sanguinante, la ferita di un Paese che investe i migliori anni delle sue giovani donne e dei suoi giovani uomini per farne dei cittadini difensori dei diritti dell’uomo, dei principi scaturiti dalla Rivoluzione francese, dei valori su cui poggiano le costituzioni delle democrazie moderne, mentre un alto rappresentante delle sue istituzioni quegli stessi principi, quegli stessi valori a parole li calpesta.
La fine delle libertà nasce sempre dal divorzio tra cultura e storia, quando cultura e storia prendono direzioni diverse.
I giovani hanno dimostrato di essere più maturi del paese, la scuola di essere luogo di una identità comunitaria capace di funzionare, ma i giovani, scegliendo le tracce della prova d’esame, hanno rivelato anche la banalità dei nostri giudizi su di loro e quanto in questo tempo siano soli con un grande bisogno di scrivere il senso della loro solitudine.
L’esame di Stato ci svela due paesi diversi, da un lato chi si prepara sulla via della migrazione per continuare a vivere e a studiare, per essere cittadino di un mondo a cultura globale, e dall’altro chi le strade della migrazione intende sbarrarle. Un paese divorziato dalla cultura e dalle aspettative dei suoi giovani.
Verrebbe da dire che la nostra scuola è migliore del paese, destinata a preparare per un paese che non c’è più. Inoltre forma a prescindere dalle sue intenzioni, se si dà ascolto a chi ha osservato che Bassani non fa parte del programma. Per fortuna! Almeno una volta un esame che non sia un doppione, un esame in grado di mettere a prova non le nozioni già verificate negli anni, ma le competenze finali dei nostri ragazzi.
D’altra parte che Bassani non faccia parte del programma denuncia la frattura tra due velocità, quella dell’istruzione e quella della cultura. Una distanza che i ragazzi vivono sulla loro pelle, la schizofrenia tra i saperi con i quali sono stati formati e la loro storia che ha inizio il giorno dopo in cui lasciano i banchi di scuola.
Una scuola migliore del paese, delle sue mutazioni genetiche dalle quali presto sarà chiamata a doversi difendere per non venire meno alla sua vocazione per la libertà, l’intelligenza, i diritti.
Una scuola che però continua a non essere migliore delle sue ragazze dei suoi ragazzi, perché incapace di traguardare se stessa e di darsi come orizzonte i loro progetti di vita. La vecchia scuola del vecchio arnese di un tempo: l’esame di Stato, che né Caproni né Bassani potranno mai riscattare dalla sua inutilità.
I solitari del mondo digitale sono assai migliori della scuola che frequentano, così fragile nel suo impianto formativo che Bassani non è nei suoi programmi, e lo denuncia senza accorgersi dell’incongruenza.
Per fortuna i suoi giovani ogni anno al rito consunto dell’esame di Stato dimostrano di avere la capacità di capitalizzare quello che hanno ricevuto, fornendo una lezione a tutto il paese che neppure se ne accorge.
Mentre il sistema formativo scricchiola da tutte le parti, con sintomi di forte preoccupazione, loro hanno ben altro da fare, se ne vanno verso un altrove che per i più non sarà qui.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.


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