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Come non parlare di Daniel, il bambino filippino della foto postata su facebook e poi rilanciata dalla stampa con il titolo “Il bambino che studia alla luce del lampione”. “Lampione”, capite, nel 21° secolo, lampione come la piccola fiammiferaia, come il piccolo scrivano fiorentino, un acido rigurgito deamicisiano. Il piccolo Daniel fa i compiti in un parcheggio non alla luce di un lampione, ma rischiarato dall’opulente insegna del MacDonald e dalle auto che stazionano nella piazza, nel viscido cono d’ombra della ricchezza cresciuta sul sacrificio della sua povertà, della sua vita negata, come tante altre.
Ma la patologia del nostro tempo malato, dei nostri sguardi alterati, dei nostri cervelli deviati fa assurgere la disgraziata condizione di Daniel, costretto a fare i compiti su uno sgabello per strada, a simbolo della forza dei sogni: “fulgido esempio” di come sconfiggere attraverso la volontà, fin da bambini, le difficoltà di un’esistenza ingrata. Ah, che commozione! Nessuno che dica quanto è indegno, aberrante e crudele tutto questo. Quanta falsità e ipocrisia nel rimbalzo di questo scatto dai social network alla carta stampata. È giusto tutto questo, a cosa serve? Alla nostra stupidità, alla nostra superficialità, alle nostre coscienze anestetizzate da un clic “mi piace”. Nessuno che denunci lo scandalo, l’insopportabilità di vivere in un mondo simile.
Daniel è uno, con lui ci sono 58 milioni di bambini che ancora non hanno accesso alla scuola primaria e 63 milioni tra ragazze e ragazzi che non possono frequentare la scuola secondaria. Circa la metà dei bambini in età di scuola elementare vive in paesi colpiti da guerre e crisi. Non ci sono mai stati tanti profughi bambini dai tempi della Seconda guerra mondiale. Sono in particolare le bambine a pagare più di tutti, perché vittime dei matrimoni precoci, dello sfruttamento minorile, del traffico di donne e bambini.
In queste ore si tiene a Oslo, in collaborazione con l’Onu, la conferenza mondiale sull’istruzione e su come finanziarla per raggiungere l’obiettivo di garantire a tutti i bambini l’istruzione prescolare, primaria e secondaria entro il 2030, impegno che per il 2015 è stato fallito.
Garantire un’istruzione a tutti i bambini del mondo, il cui diritto universale è sancito dalla Carta dei diritti del fanciullo del 1989, costa, almeno 210 miliardi di dollari entro il 2020.
Dalla lettura dei documenti preparatori della Conferenza di Oslo pare che l’unica strada percorribile per recuperare risorse sia la sola filantropia, incentivare la carità, la diffusione dei numeri di cellulare da digitare per versare il nostro obolo. Siamo all’elemosina del cibo e dell’istruzione. Per favore risparmiatemi la retorica su Daniel! Gli equilibri e i privilegi dell’economia di mercato, dell’economia del capitale umano non si toccano. I fortunati forse continueranno ad essere fortunati, per gli altri il buon cuore, forse MacDonald parteciperà alla campagna per gli aiuti all’istruzione nel mondo, vendendo patate fritte e hamburger. Prepariamo i bonifici per la banca Etica, quella di “Cosa c’è di più ‘intelligente’ del fare in modo che un bambino possa studiare ed un domani contribuire allo sviluppo del suo Paese?”. Che cosa c’è di più ignobile di lasciare che il mondo vada avanti così?
L’ipocrisia non ha limiti, perché la Conferenza di Oslo intenderebbe spacciare come “approccio nuovo” lo sfruttamento di nuove fonti di finanziamento come il settore privato e le organizzazioni filantropiche, il che, tutti sono in grado di comprenderlo, è molto incerto e aleatorio. Un’altra proposta, che viene considerata come importante, sarebbe quella di istituire una piattaforma umanitaria globale. Si parla di Social impact bond, sempre per spronare la filantropia e la Banca Mondiale, occhiuto guardiano dello statu quo, sarebbe orientata ad un cospicuo investimento sociale, concedendo prestiti per 150 miliardi di dollari nei prossimi 15 anni.
Ecco il nostro mondo, ecco il mondo in cui vivono milioni di bambine e di bambine la cui certezza del diritto è affidata al buon cuore delle persone.
C’è da chiedersi che fine hanno fatto gli impegni assunti solo un paio di mesi fa alla conferenza mondiale sull’istruzione di Incheon, Repubblica di Corea. L’impegno è di quelli che si dicono altisonanti: “Per un’educazione di qualità equa e inclusiva e per l’educazione permanente per tutti entro il 2030. Trasformare la vita attraverso l’istruzione.”
In quel documento si fa riferimento a politiche, a finanziamenti, ad “azioni coraggiose e innovative, per raggiungere il nostro ambizioso obiettivo entro il 2030”.
In questo tempo che ci fa male, pare che la politica sia stata sequestrata dalla finanza e che i diritti siano questione di filantropia. Per il resto c’è sempre facebook per essere partecipi con un clic delle ingiustizie del mondo.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it