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È gennaio e c’è il silenzio sopra Ferrara. Tra neppure cinque mesi si voterà per il governo della città dei prossimi anni e solo rumors sgusciano qua e là dagli angoli delle strade.
Qualche cavaliere si appresta a scendere in lizza ma ancora esita a far conoscere i suoi proclami.
L’aria che si respira e che le nebbie rendono pesante pare portatrice di un destino già scritto: la città sarà bottino dei barbari.
La politica che fino ad oggi ha governato la città tace, quasi sopraffatta da un senso di impotenza, timorosa di offrirsi al futuro.
Ricalcando le orme di esperienze vicine che hanno rispedito a casa i barbari, con intelligenza alcuni giovani hanno chiamato all’appello le meningi dei loro cittadini a mettere nero su bianco la città che vorrebbero.
Idee coraggiose e generose da affidare a chi sarà disposto a fare il nostro San Giorgio, il daimon che salverà la città dal drago.
Allora viene da interrogarsi come in questo mondo globale, sempre più complesso, tutto si sia frantumato, tutto si sia parcellizzato. La politica si ritira incapace di interpretare il pensiero collettivo, si affida all’energia degli atomi in grado di muoversi ed attrarsi, di aggregarsi in molecole sociali.
Le grandi narrazioni non le scrive e non le racconta più nessuno. La nostra solitudine sociale nasce dal fatto che siamo stati abbandonati a noi stessi da una politica che è fuggita lontano per decidere le nostre sorti altrove, distante dalle donne e dagli uomini in carne ed ossa e dai loro bisogni.
Questo è accaduto e il nostro destino ci è rimasto tra le mani. Il lontano che si avvicina a noi non è la politica, ma l’altro come noi che ci chiede aiuto, che ci chiede solidarietà, che ci chiede di accoglierlo.
E allora pensare la città non è facile. Non è quella di un lustro, ma quella del futuro. Non servono pensieri corti, ma pensieri lunghi. Neppure le parole servono più. Narrano solo belle illusioni.
L’iniziativa dei promotori della “Città che vogliamo” esprime il bisogno di coralità. La consapevolezza che ognuno è chiamato a fare la sua parte, a rispondere della responsabilità che come cittadino porta nei confronti della città che abita.
C’è l’idea che non basta un’amministrazione per governare la città, ma che ognuno è chiamato ogni giorno a fare la sua parte per realizzare un progetto condiviso, nutrito insieme, in grado di dare forma alla città e al suo futuro. Tutti siamo chiamati a metterci in gioco, a contribuire attivamente, con la partecipazione, con i nostri pensieri e le nostre competenze.
Proiettare la città lontano dalla mediocrità e verso il futuro dipende solo da noi, se siamo disposti con le scelte di ogni giorno, con la coerenza dei nostri comportamenti a far parte di questa coralità e insieme scrivere i brani da intonare.
Si tratta però di non rimanere intrappolati nei particolarismi, perdendo lo sguardo verso il tutto che invece può aiutare a scovare proposte e idee per sconfiggere il rischio di una scarsità di futuro.
In questo mondo globale è solo ricominciando dalle città, giocando in prima persona che si può essere della partita.
Le regole ci sono, le ha dettate l’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Sconfiggere la povertà, sconfiggere la fame riguarda anche noi, con l’occhio attento ai bisogni dell’altro. La salute e il benessere; l’istruzione di qualità; la parità di genere; le acque pulite e servizi igienico-sanitari; l’energia pulita e accessibile; lavoro dignitoso e crescita economica; imprese, innovazione e infrastrutture; ridurre le diseguaglianze; città inclusive e comunità sostenibili; produzione e consumo responsabile; lotta contro il cambiamento climatico.
Obiettivi che in questi anni la città ha fatto propri aderendo all’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis).
Non possiamo venir meno a questo impegno culturale e civile, continuare a percorre questa strada è anche nostra responsabilità, dipende dalle scelte che compiamo per il futuro della nostra città e del nostro saperla abitare.
È nostra la responsabilità di misurarci con la dimensione sociale delle sperequazioni e delle asimmetrie non giustificabili in termini di libertà umane, di accesso alle risorse e alle opportunità sia per le generazioni presenti che per quelle future.
La città ha bisogno di intelligenza e di intelligenze, ha quindi la necessità di recuperare la cultura della partecipazione, il diritto alla città condivisa, pensata e vissuta insieme.
Per un futuro che non sia mediocre, ma delle persone, in corpo e voce, sono i luoghi dell’incontro e del confronto che vanno aperti, qualificati e moltiplicati. Dunque sono ineludibili scelte politiche che antepongano a tutto la centralità della formazione e dell’informazione, la loro fruizione e la loro mobilitazione.

in copertina elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it