LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Cambiare la scuola per non trovarci nei guai
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La quarta rivoluzione industriale promette intelligenza artificiale, automazione, automobili autopilotate, neurotecnologie del cervello, realtà virtuale, realtà aumentata, editing genetico.
Nuove opportunità, eccitanti possibilità, sfide significative. Il futuro è qui. Insieme promette crescenti minacce alla sopravvivenza dell’uomo sulla Terra, cambiamenti climatici, crescita della popolazione, resistenza agli antibiotici, rischio tecnologico.
E intanto la convivenza tra noi esseri umani non se la passa bene. Il divario tra chi ha e chi non ha è sempre più ampio e insostenibile, le ineguaglianze si fanno sempre più esponenziali, la tecnologia sta consentendo una maggiore concentrazione della ricchezza nelle mani di un numero sempre più piccolo di individui e corporazioni.
Disoccupazione, bassi salari, precariato hanno provocato populismo e instabilità, influenzando la politica.
Antonio Gramsci nel secolo scorso ci aveva avvertiti: “La crisi consiste precisamente nel fatto che il vecchio sta morendo, e il nuovo non è ancora nato; in questo interregno una grande varietà di sintomi morbosi appare.”
Come difendersi? Non c’è dubbio che abbiamo bisogno di ricerca, anticipazione e lungimiranza. Intanto a partire dai luoghi dell’istruzione, dove si attrezzano le giovani generazioni.
Se ne sono occupati più di settecento partecipanti, provenienti da settantacinque paesi differenti, all’undicesima Conferenza Internazionale su Istruzione, Ricerca e Innovazione, tenuta a Siviglia in Spagna dal 12 al 14 novembre 2018: “Meeting the Challenges of 21st Century learning”.
L’istruzione è la più grande sfida che abbiamo attualmente di fronte a noi. Se non cambiamo i modi di insegnare, fra trent’anni saremo nei guai.
Le cose che insegniamo nelle nostre scuole e i metodi che usiamo sono sempre le stesse da duecento anni e, certo, non è che dobbiamo insegnare ai nostri figli come competere con le macchine. Noi dobbiamo insegnare qualcosa di unico, in modo che la macchina non possa raggiungerci.
Anche se è vero che i robot stanno diventando molto bravi in una vasta gamma di lavori e attività, ci sono ancora molti settori in cui gli umani sono meglio.
In creatività, relazioni sociali e destrezza fisica ad esempio.Tutti settori che sono fondamentali per la creazione di posti di lavoro. Dalla scrittura creativa, all’imprenditorialità, alla ricerca scientifica. I robot non possiedono l’intelligenza emotiva che noi abbiamo e neppure la nostra agilità.
Il guaio è che il nostro sistema di istruzione si rivela sempre più resistente ai cambiamenti. Caratterizzato in tutto il mondo da modelli standardizzati, dall’istruzionismo, disegnato per un’economia industriale, con format di trasmissione delle conoscenze fatti più per dimenticare che per apprendere, oggi in competizione con altri “broadcast format” come i social media e YouTube. Anche i sistemi di valutazione sono ancorati alle epoche passate, mentre le nuove tecnologie e l’insegnamento digitale vengono utilizzati dalle nostre scuole per rinforzare pratiche del diciannovesimo secolo. Scuole che sono distributori di contenuti, reattive all’industria della misurazione.
Come possiamo progettare un’istruzione che fornisca agli studenti le conoscenze e le capacità necessarie a vivere, crescere e realizzarsi in un mondo in così profonda trasformazione?
La ricetta è vecchia quanto il buon Friedrich Froebel: “Apprendere una cosa nella vita e attraverso il fare è molto più formativo e duraturo che impararla semplicemente attraverso la comunicazione verbale delle idee.”
La conferenza di Siviglia suggerisce di passare dalla “scuola dell’istruzione” alla “scuola della costruzione”. Dall’insegnamento all’apprendimento.
Niente di particolarmente nuovo, ma l’avvertimento che il tempo della scuola fondata sulla trasmissione delle conoscenze è definitivamente scaduto. Ricostruire le conoscenze significa partecipare alla loro composizione anziché riceverle già belle confezionate come le pillole di Gianni Rodari.
Imparare facendo, anziché ascoltando. Semmai facendo cose buone in modo da imparare molto meglio di prima. Uscire dalle scuole e incontrare la vita con i suoi suggerimenti, le sue opportunità e occasioni. Insegnanti progettisti di ambienti e di percorsi di apprendimento, registi anziché megafoni dei saperi. Vivere insieme le sfide del mondo reale attraverso un apprendimento ancorato a progetti concreti da realizzare. Personalizzare l’apprendimento in modo da offrire agli alunni più opportunità e il controllo sui loro processi di apprendimento. Collaborazione, creatività, pensiero critico, progetti e passione questi gli ingredienti indispensabili.
“Gli analfabeti del XXI secolo”, scriveva Alvin Toffler in “Future Shock” nel 1970, “non saranno quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quelli che non possono imparare, disimparare e imparare di nuovo”.
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Giovanni Fioravanti
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