– Mamma hai finito col computer?
Ma cosa stai facendo… è due ore che sei chiusa li dentro! –
Cosa sto facendo? Già, me lo chiedo anche io. Se sapesse che sto parlando con uno sconosciuto, chissà cosa mi direbbe.
– Sì tesoro, adesso ho finito, ancora un attimo!
Ecco adesso il computer è tutto tuo.
Vado a scuola adesso.
Ci vediamo a pranzo, io torno verso le due, a dopo.
Sono in ritardo, devo spicciarmi.
Non posso arrivare in classe dopo i ragazzi ancora una volta –
Francesca, quarantanove anni appena compiuti, prof. di matematica al Liceo Galvani della città, una separazione faticosa alle spalle, una figlia, Sabrina, ventun anni, secondo anno di Psicologia, semplicemente la sua vita.
Dopo la separazione, oramai erano dieci anni, aveva avuto alcune storie, brevi, passate senza lasciare traccia, prive di importanza.
Ma era da circa un anno che sentiva pressante il bisogno di avere per sé qualcosa di più significativo dei rapporti occasionali avuti fino a quel momento, almeno un compagno, se non un marito.
Ben presto si era resa conto che la cosa però era molto più difficile di quello che aveva supposto.
Nonostante avesse già abbassato di molto le comuni aspettative, accontentandosi per quello che riguardava l’aspetto fisico; era diciamo, quello interiore, che lasciava a desiderare delle diverse persone con cui era uscita fino a quel momento.
E sì che sarebbe stata disposta ad intraprendere seriamente una relazione, ma con un uomo semplicemente normale con sentimenti che corrispondessero per lo meno a quelli tipici di un amore nuovo, chiedendo solamente quello che una donna si aspetta quando inizia una nuova storia, soprattutto un po’ di attenzione e premura.
Invece aveva incontrato solo figure di basso profilo e scoraggiata aveva quasi smesso di accettare altre proposte di uscite galanti.
Aveva anche declinato alcuni inviti a cena con Giulia e Nadia, le sue amiche da sempre, incontri organizzati appositamente per presentarle amici sentimentalmente liberi.
Tutto questo fino a quando aveva sentito parlare – quasi per caso dalla sua collega Doridi – di questa sua nuova relazione iniziata su una di quelle solite chat di incontri.
Aveva chiesto come si faceva, aveva capito che c’era una registrazione da fare, l’aveva anche fatta, ma poi più nulla.
Fino a quando una notte in cui si sentiva particolarmente sola, aveva provato.
Ed ecco che con Marco Z. oramai chattava quasi tutte le sere, da un mese abbondante, attendendo prima che sua figlia si ritirasse in camera sua.
Di solito cominciava a comunicare dopo la mezzanotte e arrivavano spesso le due prima che andasse a dormire.
Si alzava al mattino ancora del tutto addormentata.
Abituata da sempre a dormire molto, quelle poche ore di sonno di certo non le bastavano per recuperare.
E infatti durante il mattino, in classe, diverse volte si era trovata a sbadigliare in continuazione.
Aveva raddoppiato il numero dei caffè presi di solito, ma questo non era stato sufficiente a nasconderle un’aria di estraneità da questo mondo che fino ad allora non aveva mai frequentato.
Tutti si erano accorti di questo cambiamento e a chi le chiedeva spiegazioni rispondeva frettolosamente in termini volutamente molto generici rimanendo sul vago.
– Stanotte lo chiamo e gli chiedo un appuntamento… non posso continuare così all’infinito.
È solo lunedì e sono già stanca come se fosse sabato – pensava Francesca quel giorno di settembre mentre rincasava dal lavoro.
Alle 16:30 in piazza Duomo.
Sono solo le 16 e io sono già qui.
Ho preso una giornata di permesso per fare le cose con calma.
Ho richiesto e disdetto l’appuntamento col parrucchiere due volte.
Non voglio farmi vedere troppo tirata.
Voglio che mi consideri così per come sono.
Ma così come sono poi gli piacerò?
Accidenti potevo andarci da Maurizio almeno per la piega. Guarda come mi stanno questi capelli.. proprio oggi!
È inutile adesso è tardi.
Mi sono messa la gonna.
Non la metto quasi mai.
Vado sempre in bici, e poi sono più comoda coi pantaloni.
Mia figlia mi ha chiesto stamattina se avevo un appuntamento con un uomo.
Ma dico cosa le salta in mente!
Sono diventata subito rossa, mi sono morsicata la lingua perché stavo per chiederle come cavolo lei lo sapesse, poi le ho risposto abbastanza seccamente che io a cinquant’anni potevo anche vestirmi come cazzo mi pareva e che non dovevo giustificarmi di fronte a mia figlia e che…
Al che lei con una vocina molto pacata, mi ha risposto che era solo una battuta e non importava che me la prendessi tanto!
Sono uscita senza dirle una parola.
Sono ritornata subito indietro.
Ho suonato il campanello di casa.
Mi ero dimenticata le chiavi.
– Buongiorno… devi essere Francesca vero? Io sono Marco! –
Mi giro.
Ho il cuore a mille come quello di una adolescente al suo primo appuntamento
– Ma non sei pelato… sei bellissimo Marco…Oh, scusa, cioè volevo dire sei normale! –
– Ah, grazie – rispose con un sorriso Marco – lo prendo come un complimento! –
– Ma no, cioè sì… oh, insomma, ciao.
Sì, sono Francesca e sono agitatissima.
– Bene, anche tu sei molto carina Francesca –
Cosa dici stiamo qui fermi in mezzo alla strada a farci i complimenti o ti andrebbe un caffè? –
– Mi andrebbe, certo Marco, eccome –
– Allora qui all’angolo c’è un bar che a me piace molto, andiamo a sederci lì –
Francesca lo guardò bene negli occhi e con un sorriso fece un cenno di assenso.
Marco le porse il braccio.
Lei si appoggiò delicatamente.
E tutto il resto non contava più nulla.
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Roberto Paltrinieri
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