Playground Love (Air, 1999)
Avete mai creduto a una leggenda? Una storia palesemente inventata ma che avreste desiderato intimamente che fosse vera?
Magari la voglia di crederci a tutti i costi vi ha convinto che vera lo fosse sul serio. Ebbene, a me è successo. E non nego che la cosa un po’ m’imbarazza e un po’ mi turba.
Intendiamoci, non si tratta di una bella storia, di una storia piacevole e a lieto fine, tutt’altro.
Eppure, ogni volta che ci penso, sono sempre più convinto che questa storia non sia così campata in aria… Cercherò d’esser più chiaro.
Tutto è iniziato tanti anni fa quando ero ancora un ragazzo. Ricordo di quella volta che lessi l’articolo di un giornale locale che raccontava la tragica vicenda di un mio coetaneo che morì in circostanze misteriose.
Il suo corpo fu trovato semisommerso in una scolina nella campagna di Contrapò. Era ormai del tutto decomposto e irriconoscibile, perciò si riuscì a risalire all’identità soltanto grazie all’agendina che portava nella tasca dei jeans. Nel libretto erano segnate le sue generalità e molto altro. C’erano appunti scritti di suo pugno che descrivevano, come le note di un diario, le sue ultime giornate e s’interrompevano con tutta probabilità il giorno della sua scomparsa. Venne anche accertato dall’autopsia che la morte fu sopraggiunta per soffocamento circa tre settimane prima.
Se inizialmente si pensava a una disgrazia, dopo alcuni giorni dalla scoperta del corpo gli indizi raccolti portavano tutti alla conclusione che si fosse di fronte a un caso di omicidio.
Dopo tanti anni posso confermare che non fu trovato mai nessun colpevole e che la morte di quel ragazzo si andò a sommare a tutti quegli innumerevoli casi di delitti irrisolti di cui la storia della nostra cronaca nera è piena.
La cosa strana era che nessuno, prima del suo ritrovamento, ne aveva denunciato la scomparsa. Solo successivamente, quando i carabinieri dovettero andare a casa del ragazzo per dare ai familiari la tragica notizia, si apprese che il giovane era orfano e viveva nell’abitazione dei nonni materni, e che appena sei mesi prima i due anziani erano morti anch’essi in circostanze poco chiare, pare comunque nel sonno per una fuga di gas dalla stufa mentre il nipote si trovava fuori casa.
Ma proprio il mistero che avvolgeva tutta la vicenda contribuì alla nascita di alcune voci. Si racconta, infatti, che nella famosa agendina ritrovata sul cadavere del ragazzo ci fossero scritte alcune inquietanti affermazioni. Nel diario il ragazzo confessava tutto il suo odio verso i nonni che aveva perso di recente, descrivendoli come dei mostri che gli avevano reso la vita impossibile. Temeva però che i loro fantasmi fossero tornati a tormentarlo, era ossessionato dalla certezza che non sarebbe mai riuscito a liberarsene. Ne avvertiva la presenza ogni sera e per tutta la notte fino alle prime luci dell’alba. A volte gli pareva di sentire il brano preferito dei nonni, un vecchio valzer, provenire dalla loro camera da letto. Così decideva di trascorrere gran parte della notte andandosene a zonzo per la campagna circostante e annotando nel diario ogni stranezza che gli fosse capitata. E questo probabilmente fino al giorno della sua morte.
Per alcuni anni la dimora in cui il giovane e i nonni avevano vissuto – una casetta isolata nella campagna tra Baura e Contrapò – rimase disabitata in attesa di un compratore.
La leggenda vuole che di notte, passando nelle vicinanze, si potesse ascoltare la tenue melodia di un valzer provenire dall’interno della casa.
L’estate di quell’anno io e i miei amici, per alcune sere, andammo a curiosare da quelle parti per constatare di persona se ciò che si diceva in giro corrispondeva al vero oppure no. Voi non ci crederete ma l’ultima sera udimmo tutti quanti le note di un’operetta che sembravano risuonare proprio nelle stanze vuote e buie di quella casa. Dopo qualche attimo d’incertezza, una sensazione di crescente paura s’impadronì di noi tutti, spingendoci a inforcare le bici in fretta e furia e ad allontanarci da lì il più rapidamente possibile.
Quella fu l’ultima volta che andai a far visita alla “casa dei valzer”, come veniva soprannominata allora. Dopo qualche giorno partii per le vacanze e quando tornai mi dissero che la casa era stata demolita.
Non saprei se si trattò di suggestione, di un’allucinazione collettiva. Certamente quella musica la sentimmo tutti. Anche se dopo preferimmo minimizzare la cosa costruendoci intorno qualche strampalata spiegazione che in qualche modo servisse a rincuorarci e a scongiurare ogni dubbio sull’esistenza dei fantasmi.
Devo dire che ormai, a distanza di tanto tempo, ogni emozione legata a quella vicenda si è talmente rarefatta e attenuata da poterne finalmente parlare con rassicurante distacco, nella ritrovata certezza che non vi sia mai stato nulla di arcano e oscuro.
Nulla a parte l’identità dell’assassino che resta tuttora un mistero. Un qualcuno che, in tutti questi anni, potremmo benissimo aver incontrato se non addirittura conosciuto nella più ordinaria quotidianità e senza intuire alcunché.
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Carlo Tassi
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