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“Terra di pace quella promessa”, Terrasanta, si recita con continuità, ma ancora la brutale violenza quotidiana, non rispettosa dei diritti di ciascuno travolge questo lembo di costa posta ad oriente del Mediterraneo.
Percorro Gerusalemme, il centro spirituale delle tre religioni monoteiste, con ogni probabilità il luogo più affascinante e nel contempo il piὺ intrigante della terra. La presenza dei militari israeliani fuori e dentro le mura è talvolta discreta ma costante, e proporzionata al tasso di tensione del momento.
Città contesa, conquistata, sottomessa e poi perduta così per secoli, da chi la considera una irrinunciabile parte della propria tradizione storica, da chi ne contesta l’usurpazione da parte degli occupanti, da chi la celebra come il simbolo della propria identità religiosa e da chi rivendica con il proprio quarto di città il ricordo di un genocidio mai riconosciuto appieno dalla comunità internazionale.
Divisa in quattro settori, armeno, cristiano, ebraico e musulmano, Gerusalemme pare non possa trovare la pacifica convivenza fra gli uomini che la abitano, schiava di una molteplicità di simboli concentrati in pochissimi metri quadrati (meno di un chilometro), ma che valgono molto di piὺ di ciὸ che fisicamente si calpesta: un incrocio di culture millenarie, religioni e passioni, che incendiano troppo frequentemente le incomprensioni e il fanatismo religioso.

Attraversata l’affollata Porta di Damasco, la più nota e scenografica delle cinque porte aperte, con il suo arco monumentale a ogiva ricavato nelle poderose mura, ci si immerge nella folla vociante fra bancarelle e venditori di dolci, una sorta di stargate che apre verso una Gerusalemme senza tempo.
Lasciate alle spalle le possenti mura inizia la scoperta dell’interno della città, attraverso stretti vicoli in alcuni punti protetti dal sole da porticati, sotto i quali aprono piccole e sonnolente botteghe: si scopre una città inimmaginabile e inaspettata prima.
La Via Dolorosa, che sale fra ogni tipo di negozi posti ai suoi lati verso la Basilica del Santo Sepolcro, il Muro del Pianto, controllato a vista da telecamere e da metal detector, sormontato dalla Spianata delle Moschee sulla quale nel VII secolo d.C. venne edificata la dorata Cupola della Roccia visibile da diversi punti della città. Un itinerario mistico e interiore che non trova eguali in nessuna altra parte del mondo.
Si deve entrare in questo luogo di storia in silenzio, il mattino presto per carpirne lo spirito e scoprire i suoi anfratti piὺ misteriosi, senza la nervosa e confusionaria presenza di torme chiassose di pellegrini cristiani e non solo che la invadono.
A quell’ora la città appare calata in una dimensione ancora immobile nella quale i secoli non sembrano trascorrere, dove ogni angolo rimane impresso negli occhi tenuti ben aperti di ogni osservatore curioso, ma rimane pur sempre una città per sognatori.
Un palcoscenico reale, vero, che ci riporta alle atmosfere dei numerosi film storici, i colossal degli anni Sessanta del secolo scorso, che narravano di rivolte delle popolazioni locali contro l’Impero Romano, di Pilato, dell’Orto degli Ulivi e dell’epilogo supposto deicida della crocifissione di Cristo sul Calvario. Le epiche Crociate che ci hanno fatto conoscere Goffredo di Buglione e Solimano, che costarono migliaia di vittime fra civili di ogni fede, fanti e valorosi cavalieri senza paura, che ispirarono Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata, la prima crociata fra le molteplici combattute.

Gerusalemme, crogiuolo di sentimenti, deve essere protetta dall’odio stagnante e senza fine che si palpa ad ogni crocicchio e salvata dalla autodistruzione verso la quale corre velocemente.
Vanno protetti i monaci etiopi che da secoli pregano dietro le porte socchiuse delle cellette situate nel complesso del Santo Sepolcro, vanno protetti i simboli e le tradizioni di ciascuna etnia a religione, le pietre scolpite testimoni di migliaia di anni di storia dell’uomo e gli uomini stessi, che hanno il diritto di indossare, sempre, i loro paramenti cosi come di professare la propria religione senza timori, e va protetta la memoria dell’Olocausto allo Yad Vashem, contro ogni follia umana.
Alleggerito per un momento dai pregiudizi e dalla propria fede e senza dover tradurre ciò che mi scorre davanti in una lettura occidentale, tento di comprendere e processi locali millenari, che continuano a condizionare da un lato la spiritualità e dall’altro gli equilibri geopolitici nel mondo.
Il senso che percorre questa città è al centro dell’anima di ciascuno di noi.
Gerusalemme non puὸ lasciare indifferenti, deve obbligatoriamente emozionare.
Gerusalemme non la si può raccontare oltre: bisogna andarvi e viverla.

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Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.

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