LA BELLEZZA CI SALVERA’
Gli occhi sull’anima delle cattedrali di Firenze e di Siena
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Un evento imperdibile per i cultori dell’arte medievale e per gli amanti del bello in generale, quello che si sta svolgendo nel Battistero di Firenze.
Fino all’8 settembre prossimo rimarrà esposta, e soprattutto visibile da pochi metri di distanza, la grande vetrata istoriata, legata al piombo, dell’occhio centrale della cattedrale di Santa Maria del Fiore, posta dietro il rosone centrale da oltre sei secoli e restaurata in questi ultimi mesi dalla storica ditta vetraria artistica Polloni di Firenze.
La vetrata circolare raffigura l’Assunzione della Vergine e venne collocata sul portale principale della Cattedrale nel 1405. È un gioiello dell’arte medievale: i cartoni furono disegnati da Lorenzo Ghiberti alle fine del Trecento, come parte di un ciclo di oltre quaranta vetrate istoriate ideate fin verso la metà del Quattrocento. Nei suoi Commentari Ghiberti riporta: “Disegnai nella faccia di Santa Maria del Fiore, nell’occhio di mezzo, l’assunzione di Nostra Donna e disegnai gli altri [vetri che] sono dallato”. Il Maestro fiorentino, scultore già famoso per le formelle della porta del Battistero, creò qui un’opera in vetro destinata a brillare per secoli di luce multicolore: il rubino, il topazio, lo smeraldo, lo zaffiro si alternano in tasselli in vetro dipinto assiemati con i listelli in piombo, dall’altrettanto celebre maestro vetraio del tempo Niccolò di Piero Tedesco.
La vetrata ha dimensioni da record: oltre 6 metri di diametro, circa dieci braccia fiorentine, divisa in 28 antelli. Per questo è da sottolineare l’ardita operazione di smontaggio, considerandone anche il posizionamento in altezza, a circa quaranta metri; il delicato contesto urbano entro cui si trova la cattedrale; il peso e naturalmente la preziosità artistica.
Il restauro della vetrata si è reso necessario per fronteggiare gli aggressivi fenomeni secolari di degrado superficiale, chimico e fisico, sul vetro dell’epoca, che hanno causato la perdita delle grisaglie fissate a caldo negli incarnatie e nei panneggi e lo scurimento per deposizione di patine, che pregiudicavano la vivacità dei colori dei vetri. In aggiunta, era necessario recuperare la stabilità e la verticalità dei piombi rilassati dal vento e dai cedimenti strutturali del telaio metallico.
Al termine dell’esposizione la vetrata tornerà al suo posto, lassù a oltre quaranta metri, per illuminare e guidare, come avrebbe voluto Ghiberti, i pellegrini e i visitatori che a migliaia ancora affollano la cattedrale oggi come nel Quattrocento.
A “pochi passi” dal Battistero c’è un altro gioiello medievale, unico come il primo e altrettanto imperdibile, tanto da costringere a una visita: si tratta della grande vetrata absidale istoriata del XIII secolo installata nel Duomo di Siena, attribuita definitivamente a Duccio di Buoninsegna negli anni Cinquanta del Novecento, e restaurata all’inizio del Duemila dal Maestro restauratore bolognese Camillo Tarozzi.
La vetrata circolare, gigantesca come la precedente di Ghiberti, di 6 metri di diametro e frazionata in 14 grandi antelli, raffigura le Storie Mariane: i tre pannelli centrali raffigurano la Dormitio, l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine, accompagnate dalla raffigurazione laterali degli Evangelisti e di Santi e Patroni locali.
Se escludiamo alcune ipotesi fatte sull’occhio absidale dell’Abbazia di San Galgano, ora testimonianza scheletrica e affascinante, la vetrata di Duccio legata al piombo da un maestro vetraio rimasto sconosciuto è nel Duecento un unicum per le sue dimensioni e i soggetti.
L’originale vetrata policroma dagli sgargianti colori giallo blu e rossi è attualmente conservata al Museo dell’Opera, a fianco della cattedrale, mentre una copia prodotta con le tecniche duecentesche domina l’abside con la propria luce prorompente e mistica e dopo secoli ancora cattura l’attenzione dei nostri occhi e della nostra anima.
Due opere senza eguali nel mondo occidentale per colori e maestria compositiva che ispireranno posteri illustri. Il sacerdote e alchimista fiorentino Antonio Neri alla fine del Cinquecento scrive: “e se bene si dice, e pare sia vero, che l’arte non può arrivare alla natura, tuttavia l’esperienza in molte cose mostra e in questa particolarmente de i colori nel vetro, che l’arte non solo arrivi e adegui la natura: ma di gran lunga la superi e passi.
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Marco Bonora
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