Da mesi, ormai: non capisco letteralmente più niente.
Non so se è solo colpa mia o se (colpevolmente) perseverando nel mio abituale sguazzar nel torbido – incentivato anche dal delirio collettivo multilivello che ci accompagna ormai da quasi un anno – ho iniziato a scavarmi una gran bella fossa da solo.
Ad ogni modo, se posso citare un uomo illustre, saggio e immaginario: francamente, me ne infischio.
Può essere colpa mia ma di certo: il contesto non aiuta.
Quindi chi se ne frega, cercare di capirci qualcosa forse non ha troppo senso.
Siamo comunque immersi in un nuovo rinascimento lisergico intinto nel nero più profondo.
Probabilmente, qualcuno ai piani alti ha ben pensato di sciacquare i proverbiali panni nel petrolio che a marzo era stoccato (non mi ricordo più dove) perché “la domanda” – sempre più importante della risposta – era cascata giù a picco.
Come ha detto un altro uomo illustre – volgarmente, un mio amico – siamo immersi in una roba a metà fra il medioevo e i “sempre mitici anni ’70”.
Come sanno poi i più attenti, nello specifico, qui in Italia, i ’70 sarebbero poi gli altri (proverbialmente) “mitici ’60”, cosa che poi aggiunge ancor più ottani al già delirante scoppio di questo vero e proprio motore immobile.
Ho anche sviluppato una nuova forma di daltonismo a modo mio, smettendo di distinguere i colori – nello specifico: giallo, arancione e rosso – non tanto per paranoia mia e/o timore di questa nuova semi-pestilenza ma perché tanto, alla fine: #andràtuttobene.
Io resto un ottimista quindi sono fiducioso.
Ne usciremo più forti, con un nuovo governo, bombati di soldi e nuove idee, musica favolosa e non più retromaniaca, telefilm ancora più performanti a livello di intrattenimento e chi più ne ha più ne metta.
Ammesso che: il nuovo governo instauri il comunismo.
Ma io, comunque, rimango fiducioso.
Buona settimana
Rheinhardt and Geraldine / Colores Para Dolores (Kevin Ayers & The Whole World, 1970)
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