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Sono le sedici. Oggi a Pontalba ha appena smesso di piovere. Nelle pozzanghere si vede la luce del sole e le  nuvole bianche che corrono come pecore.
Io esco  a fare una passeggiata. E’ il momento migliore per farlo.
Pontalba è un paese lombardo di pianura. Conta circa duemilacinquecento abitanti. Ha due frazioni:  Cominella e Milzuno.  Vicino a Pontalba scorre uno degli affluenti del Po: il Lungone. Per questo il paese fa parte del parco del Lungone Nord. Abbiamo una miriade di vincoli architettonici e paesaggistici, volti a fare in modo che l’insediamo umano non rovini la bellezza naturale del parco.

Esco e mi incammino verso il centro del paese, dove c’è la piazza principale con il suo monumento ai caduti della seconda guerra mondiale. Sull’angolo di via Santoni Rosa, c’è una forneria. Sull’insegna si legge “Da Camilla”. La fornaia si chiama Camilla. La conosco da sempre, ha un solo anno più di me, abbiamo frequentato lo stesso liceo e ci conosciamo da allora. Dopo la maturità lei ha ereditato la forneria del padre e ha cominciato a sfornare meravigliosi panini, mentre io facevo tutt’altro.

Guardo nelle pozzanghere e mi ritrovo a pensare a quando ero bambina. Anche allora amavo le pozzanghere trasparenti. Quelle dentro le quali si vede il cielo. Dopo una pioggia violenta, il cielo è limpido e l’aria  pulita. Guardando verso nord, si vedono le Alpi con le loro creste perennemente innevate. L’aria profuma d’acqua e di foglie. Faccio altri due passi e mi avvicino ad un’altra pozzanghera. Vi guardo dentro e vedo una piccola Costanza. Sono io da piccola.
Una bambina mora, con i capelli lunghi e lisci e gli occhi color delle foglie d’autunno. Un po’ verdi e un po’ nocciola. Una volta Tito sentenziò che quello strano color d’occhi faceva di me una persona speciale. Grande Tito, come sempre.
Da piccola ero una bambina musicale e ballerina. Il mio tempo libero era in buona parte dedicato ad ascoltare musica e a danzare.

Sognavo d’essere una ballerina del Teatro Bol’šoj, piroettavo trasognata sul cemento del mio cortile sognando le luci della ribalta.  Il Bol’šoj di Mosca è un teatro tra i più famosi e blasonati al mondo. E’ il tempio del balletto classico russo. La sua compagnia di danza, famosa ovunque, conta più di duecento ballerini. Uno dei primi ballerini della compagnia  è stato Rudol’f Nureev, considerato uno tra i più grandi danzatori del XX secolo insieme a Nizinskj e Bariysnikov. Per la sua velocità nel danzare e l’abilità nel compiere acrobazie di ogni genere era soprannominato the flying tatar, cioè “il tataro volante”.  Anch’io avrei voluto essere una tatara volante. Mi dedicavo a esercizi acrobatici con una certa assiduità e mettevo musica classica a tutto volume, costringendo gli abitanti di Via Santoni Rosa al supplizio della stessa musica riascoltata all’infinito.

Nella pozzanghera di oggi c’è quella bambina che mi è tornata alla memoria con molto vigore, sembra viva dentro l’acqua trasparente.

Il Sogno del Bol’šoj non esiste più. Solo i sogni alimentati da aspettative importanti, impegno, costanza, dedizione, fedeltà hanno qualche possibilità di realizzarsi. Tutti gli altri se ne vanno un po’ alla volta e, un bel giorno, spariscono. A dire il vero io un piccolo Bol’šoj  ce l’ho avuto.  Qui in paese c’era il teatro della parrocchia. Un teatrino piccolo che serviva per proiettare degli vecchi film la domenica pomeriggio e che, un paio di volte all’anno, accoglieva spettacoli di personaggi locali. Alla fine del mio primo anno di scuola elementare, le maestre organizzarono uno spettacolo per i genitori. A me fu assegnato il ruolo di prima ballerina. Un vero balletto classico con una parte da solista. La nonna Adelina, che da giovane aveva fatto la sarta,  mi fece un tutù bianco come la neve, riutilizzando il velo da sposa di mia madre. Io danzai magnificamente, per quel che può fare una bambina di sei anni autodidatta, ce la misi proprio tutta. I presenti applaudirono entusiasti e chiesero anche il bis, che naturalmente fu concesso. I bambini che parteciparono come protagonisti a quello spettacolo ora hanno tra i quaranta e i cinquant’anni, mentre gli spettatori dai cinquant’anni in su. Fu un successo, tanto che andammo anche in trasferta a Cominella, la nostra frazione più grande e ci invitarono per il Natale dell’anno seguente alla Casa di Riposo di Pontalba.
Alla fine dello spettacolo furono buttate sul palco una valanga di caramelle di zucchero. Dei fruttini duri come proiettili. Uno colpì un bambino sulla fronte con tale vigore che gli fece crescere il bernoccolo.

Credo che nella distanza di performance che c’è  tra una bambina che danza sul palco  del teatro dell’oratorio di Pontalba e una ballerina  del Bol’šoj di Mosca, ci stia tutto l’universo. Per fare i ballerini professionisti occorre una dedizione, una determinazione e un coraggio che la Costanza bambina non aveva. Era tutto sommato un po’ fragile. Poi quella bambina è cresciuta, ha imparato che la convinzione e la tenacia sono fondamentali, ed è riuscita a realizzare altri suoi sogni. Ma non quello.

Riguardo nella pozzanghera, la piccola Costanza sta volteggiando sulle note del Lago dei cigni di Čajkovskij. Entrambi i piedi sulle punte, fa passetti piccoli e agili, mentre le braccia sono alzate verso il cielo e si muovono leggere come le ali di una libellula. Il tutù è fatto di vere piume di cigno bianco e le sta rigido intorno alla vita, forma una corolla rovesciata intorno ai fianchi. Calzamaglia bianca, capelli legati e altre piume di cigno che incorniciano il volto.
Danza, ballando una specie di omaggio alla vita, un’interpretazione  della musica che sta ascoltando. Il cigno nasce, muore e rinasce ancora. I passi accompagnano la danza come fedeli esecutori di un copione già scritto, come il tramite tra il pensiero e ciò che il  corpo permette di fare.
Piedi che si muovono senza risparmiarsi, in maniera disciplinate ed elegante. Braccia che sembrano ali, che si librano in cielo. Un vortice di bianco, di piume, di leggerezza e d’infanzia. Un sogno d’eternità, di capacità di vincere la forza di gravità. Una magia, una favola unica. ll Lago dei Cigni è uno dei più famosi e acclamati balletti del XIX secolo musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij. La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro Bol’soj di Mosca il 20 febbraio 1877 con la coreografia di Julius Wenzel Reisinger.

Riprendo la mia passeggiata e lascio la bambina che danza felice. Arrivo sull’angolo della via, di fronte al negozio di Camilla e poi faccio dietro front, ritorno verso la pozzanghera, sono assalita dalla nostalgia per la Costanza ballerina. Voglio guardarla ancora un po’.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.


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