Prologo
Cinquant’anni fa, il 26 giugno del 1967, moriva a soli 44 anni Lorenzo Milani. Pochi mesi dopo era dato alle stampe l’ultimo suo libro, scritto con i suoi ragazzi, quel ‘Lettera a una professoressa’, fonte di un inesauribile – e inesaurito – dibattito. Denunciava, dati alla mano, una scuola “anticostituzionale”, modellata per la carriera dei Pierini (i figli d papà) e che lasciava sempre più indietro (e li bocciava ripetutamente) tutti gli altri, soprattutto i figli della povera gente, i figli dei contadini e degli operai.
A Ferrara e in Parlamento
Oggi viene discussa e votata in Consiglio Comunale una mozione del Pd che chiede al Senato della Repubblica di accelerare la definitiva approvazione della legge sulla ius soli. Nello stesso giorno Lega e Fratelli d’Italia hanno organizzato una manifestazione contro la stessa legge.
Ecco il contesto. Siamo ormai in piena campagna elettorale e, in un clima sempre più arroventato, non sappiamo se, tra furiose polemiche su Bankitalia, legge finanziaria, ‘Rosatellum’, ostruzionismo parlamentare e ricorso alla fiducia, avanzerà il tempo per una legge che aspetta da anni il via libera. Poteva – doveva, visto che era al primo punto del programma dell’ultima campagna elettorale del partito di maggioranza relativa – essere approvata prima, tre anni fa, o due, o uno, ma c’era sempre “altro di più importante da fare”. E soprattutto, pensavano e dicevano: “non era il momento opportuno”.
La professoressa risponde
Con la legislatura agli sgoccioli, qualcosa si è mosso. Sto parlando di un piccolo terremoto che viene dal basso, un sisma che non porta danni a cose e persone, ma scuote le coscienze di una classe politica sempre più lontana dal paese reale.
Settecento insegnanti – sembrerebbe finalmente una risposta alla provocazione del priore di Barbiana e dei suo ragazzi – hanno messo in moto un movimento per l’approvazione di una legge giusta e urgente. Che ha preso il nome comune di ius soli, ma che è in realtà una ius culturae perché concede la cittadinanza italiana a bambini e ragazzi stranieri solo dopo il superamento di un ciclo scolastico nel nostro paese.
Stiamo parlando di circa 800.000 “italiani come noi”, che frequentano le scuole italiane insieme ai figli di italiani. Che giocano a pallone o a moscacieca con i nostri figli.
In un libro bello e fortunato, finalista al premio Strega nel 2016, Eraldo Affinati, scrittore e insegnante, fondatore della scuola per stranieri Penny Wirton di Roma, ripercorre la breve e intensa vita de ‘L’uomo del futuro’ (Mondadori, 2016). La tesi più forte – più semplice e disarmante – del romanzo-biografia di Affinati è che i ragazzi di Barbiana – gli svantaggiati, gli ultimi della classe – non sono scomparsi. Non sono stati ‘promossi’ dal boom economico degli anni Sessanta, non sono stati ‘elevati’ dall’edonismo degli anni Ottanta, non sono stati ‘inglobati’ dal liberismo o dal consumismo di questi anni presenti. I ragazzi di Barbiana sono ancora tra noi, nelle nostre scuola. Sono i bambini figli degli ultimi arrivati, gli stranieri, i disabili, gli svantaggiati, i figli dei nuovi poveri: italiani e “non ancora italiani”.
La macchia si allarga
Per questa ragione, l’appello degli insegnanti per l’approvazione della legge per dare la cittadinanza agli “scolari stranieri” mi sembra una risposta, una bella risposta, alle domande di uguaglianza e di democrazia poste cinquant’anni fa da Lorenzo Milani.
Il movimento dei settecento insegnanti si è allargato, si è sparso per le cento città d’Italia. E ha rotto i tatticismi di partito. Il senatore Luigi Manconi ha raccolto per primo l’appello per discutere e votare subito lo ius soli a Palazzo Madama e ha aderito al “digiuno a staffetta”. Insieme a lui, più di 100 parlamentari, della maggioranza come della minoranza. Davanti a un problema che non è più politico, ma diventa una scelta civile e umanitaria, si è rotto finalmente il fronte della disciplina di partito, delle convenienze politiche e dei calcoli elettorali.
Intanto il movimento – perché ormai è di movimento che occorre parlare – si è esteso un po’ ovunque. Tra i ragazzi stranieri, dentro e fuori le comunità di accoglienza, tra le associazioni di volontariato sociale, nei partiti, nei sindacati. In tante città, anche a Ferrara una settimana fa, sono sorti comitati per lo ius soli. In tante città, anche a Ferrara, si firma e si digiuna a staffetta. E si tratta di un movimento trasversale, con voci e appartenenze diverse, che interroga la politica facendo appello alla coscienza civile e ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta Costituzionale.
La mozione in Consiglio Comunale
La mozione che verrà discussa e votata a Ferrara in Consiglio Comunale non sarà quindi un atto formale. Sarà la risposta che la classe politica cittadina darà a una sensibilità diffusa che va oltre l’appartenenza partitica.
Ho visto tanti video, ho letto tante interviste a questi bambini stranieri, ‘italiani come noi’. E ho fatto la prova, ne ho incontrati alcuni in una classe come tante, per fargli la stessa domanda. Non sapevano di essere ‘stranieri’, erano cioè convintissimi di essere ‘italiani’. E la stessa cosa pensavano di loro, i loro compagni italiani figli di italiani.
Mi è sembrata la prova definitiva di quanto sia giusta e urgente questa legge. Se “il senso comune dei bambini” crede nell’uguaglianza dei diritti, significa che la nostra Costituzione è ancora viva. Rispondere positivamente a questo senso comune è responsabilità della società degli adulti. Se sapremo accogliere questa istanza, se sapremo riconoscere ai “nuovi ultimi” gli stessi diritti e le stesse opportunità dei “primi della classe” avremo anche risposto alle domande inevase del priore di Barbiana. E anche la politica dovrà sturarsi le orecchie.
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Francesco Monini
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