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Itinerario N. 1 tra le macerie ferraresi: Piazza Verdi

Articolo pubblicato il 11 Febbraio 2020, Scritto da Riceviamo e pubblichiamo

Tempo di lettura: 4 minuti


Da: Ferrara Civica.

Sarà banale, ma il detto: “il diavolo fa le pentole, non i coperchi”, calza alla situazione che andremo a descrivere.
Esiste una delibera (n. GC-2016-214) per la trasformazione di Piazza Verdi nei cui confronti alcuni cittadini si sono costituiti in comitato con relativo esposto (PG 134251/2018) che già nell’incipit esprime una naturale preoccupazione: È evidente comunque che l’intervento previsto causerà una rottura degli attuali equilibri e delle consuetudini consolidatesi da diversi lustri a cui prestare una particolare attenzione e porre in essere soluzioni soddisfacenti; compito naturale di un’Amministrazione attenta ai bisogni dei suoi amministrati. Questo detto dai cittadini “prima” della realizzazione di un progetto che, per non infierire, definiremo in prima istanza di povertà nell’idee.
LA PARTECIPAZIONE
Un progetto top down che si caratterizza per i suoi metodi autoritari e non democratici, in cui le istituzioni e gli individui pianificano senza prima consultare le varie parti interessate che sono coinvolte nell’uso e nello sviluppo del territorio. Un esempio di questo approccio è il colonialismo in Africa all’inizio del diciannovesimo secolo, dove gli insediamenti furono creati semplicemente allo scopo di sfruttare i lavoratori ed estrarre la ricchezza prodotta da loro. Questo direbbero e dicono Paul Davidoff e Linda Stone Davidoff fondatori del movimento di pianificazione partecipata Advocacy Planning.
Senza andare troppo lontano, anche in Italia si è parlato di partecipazione alle scelte urbanistiche – e lo si è realizzato – con Carlo Doglio e Giancarlo De Carlo, ma questo forse è “sfuggito” ai nostri… o forse la matrice, essendo spostata verso un mondo libertario anarchico, non è tanto digeribile da chi predica il centralismo democratico. Infatti, l’allora assessore decisionista Modonesi -oggi consigliere d’opposizione- dando poco credito alle istanze dei residenti ha fatto procedere le due laureate in architettura e ingegneria, Angela Ghiglione e Elena Dalpasso, dal progetto alla realizzazione.
Si dirà che si sono ascoltate le rimostranze dei cittadini. Può essere vero, ma ascoltate, punto: è la prassi tenuta in tutti questi anni dalla precedente amministrazione e ne potremo parlare a lungo; la programmazione infatti è proseguita imperterrita fino alla materializzazione delle “idee” iniziali.
LA REALIZZAZIONE
Ora, siamo al delirio delle critiche e delle soluzioni e si pretende che qualcuno (l’attuale Amministrazione) si inventi il coperchio; invece sono i Modonesi, i Ghiglione, i Dalpasso, autori di questo disastro che devono trovare soluzioni per far funzionare la “macchina”, ideata e realizzata da loro. Non vorremmo che anche qui, ci ritrovassimo col detto napoletano “finita la festa gabbato lo santo”. Se non hanno soluzioni adeguate al problema che hanno creato, sarebbe meglio che si dimettessero dai ruoli pubblici che attualmente ricoprono per non avere l’occasione prima o poi di riprovarci.
IL PROGETTO PRESENTATO NEL FEBBRAIO ’19
Le piazze sono spazi aperti alimentati da strade, una sorta di soggiorno collegato con corridoi. Basta leggersi Camillo Sitte o ragionare sul paragone casa-città, casa per il piccolo nucleo e città casa per una collettività. Crediamo che il ragionamento sia alla portata di tutti, ma pare che in questo caso occorresse fare i fenomeni, fare qualche cosa di diverso, fare qualche cosa di sinistra. Il risultato? Lo leggiamo sulla cronaca tutti i giorni, e non sono notizie positive: schiamazzi, risse, … Per una soluzione immediata si è costretti ora a dibattere sulla chiusura completa della piazza nelle ore notturne. Cancelli si, cancelli no, telecamere, strumenti negativi per governare la solita movida fuori controllo che ha trovato lo spazio ideale in questa piazza per potersi esprimere al “meglio”. È chiaro che un progetto, se genera dei fenomeni di violenza, è sbagliato e questo, infatti, realizzato con recinzioni definitive di una certa importanza che separano e creano spazi per appartarsi, produce quella negatività che favorisce l’alcolismo, l’uso di stupefacenti e altro ancora. Si possono condividere le buone intenzioni programmatiche, ma bisognerebbe prevedere tutte le possibili fruizioni di quegli spazi e trovare in fase progettuale soluzioni per poterle gestire. Ma dov’era la severa Commissione Edilizia, dov’erano Italia Nostra e Ferrariae Decus? Certo, ora, nessuno può chiamarsi fuori, men che meno gli studenti con i loro comportamenti, né, tantomeno, la comunità educante adulta, Università di Ferrara in primis. Ognuno deve fare la sua parte, assumendosi le sue responsabilità, compreso il coraggio di dire: “scusate, abbiamo sbagliato”. Cosa difficile, non impossibile.
UTILIZZO DEL VERDE URBANO
Anche il discorso verde pubblico deve essere capito; un esempio estremo: si pensi alla sequenza di alberi piantumati nella metafisica piazza di Tresigallo, un’oscenità che farebbe inorridire lo stesso De Chirico. Anziché trovarsi alle 14 e 30 del nove di agosto di un anno imprecisato all’interno e quindi protagonista di un dipinto di tal grande pittore e respirare quell’aria metafisica, ci si troverà in un comune giardino botanico e guardare dai portici il verde degli alberi anziché il rosso intenso delle arcate. Stranezze degli interventi pubblici. Gli episodi sarebbero tanti, ma hanno un solo denominatore comune: la mancanza di cultura.
È auspicabile quindi che si proceda alla demolizione e si ripensi, soprattutto se si hanno delle velleitarie idee teatral-scenografiche, come si legge dalla relazione, a un tal Filippo Raguzzini maestro in questa materia e alla nuova legge proposta dal ministro Dario Franceschini sulle facciate urbane degli edifici.
Questa è solo una delle tante macerie lasciate dalle precedenti amministrazioni che si sono susseguite nella continuità, come lo stesso Teatro Verdi, Ospedale di Cona, metropolitana di superficie, …
Ci sembra oltremodo bizzarro, quindi, voler ritornare a chi ha gestito in questo modo la città e il suo territorio e fa meraviglia che si imbandiscano periodicamente le piazze con quel mercato ittico in cui primeggiano gamberi cefali sgombri e qualche sardina; questa sarebbe per l’Italia l’ennesima rivoluzione di vertice mascherata da “populismo”.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani