A Losanna si è conclusa la prima fase di un compromesso che vuole chiudere un capitolo che ha condizionato pesantemente gli ultimi trent’anni di storia del Medioriente e le sue relazioni con i Paesi occidentali. Molti parlano di accordo storico, non solo per il forte impatto geopolitico, ma anche per le conseguenze economiche e sociali che si rifletterebbero sul contesto internazionale. Ci si riferisce all’accordo sulla negoziazione del programma nucleare della Repubblica iraniana, che passato un ulteriore step lo scorso 2 aprile, aspetta solo la chiusura, a giugno, con la preannunciata versione definitiva.
I punti chiave dell’intesa si baserebbero sulla limitazione all’arricchimento di uranio del 3,7 (percentuale usata a scopo civile), al fine di impedire che si ricavi il plutonio necessario per la costruzione della bomba atomica, in cambio della revoca da parte dei Paesi occidentali (rappresentati durante il negoziato dai cinque membri del consiglio di sicurezza dell’Onu con diritto di veto più uno) delle sanzioni di carattere economico che furono imposte all’Iran, una sorta di embargo.
Dunque, se l’obiettivo è che l’Iran fermi la corsa al riarmo nucleare, c’è da dire che questa possibilità non è del tutto congelata; il rischio che si tenti di eludere l’accordo o di acquisire maggior liquidità per finanziarne la produzione è comunque sorvegliato dai controllori dell’Aiea (Sezione nucleare delle Nazioni unite) che provvederanno ad ispezioni regolari ed autorizzate nelle centrali iraniane.
Tra le variabili di maggiore interesse, poi, il tempo rappresenta l’incognita cruciale, poiché si devono considerare sia i tempi tecnici che il superamento delle personalità ostili all’accordo.
In questo senso l’accordo rappresenta effettivamente una svolta, anche solo in riferimento al cambiamento che la presidenza americana ha messo in atto nei confronti dell’Iran, preferendo una strategia di ‘engagement’ rispetto all’isolamento o alla risposta militare per anni adottata (atteggiamento già messo in atto più volte nelle scelte politiche del presidente Obama, in riferimento per esempio al contesto della Birmania e allo scioglimento dell’embargo di Cuba).
A partire da un potenziale scambio per centinaia di miliardi con l’Unione europea, le conseguenze economiche di questo accordo possono avere ampia rilevanza: grazie al ritorno del gigante dell’Opec nelle interazioni commerciali, si parla di un possibile risveglio della dinamicità della finanza islamica e si preannunciano massicci investimenti provenienti dai magnati asiatici, interessati a finanziare il debito estero, data la garanzia che rappresenterebbe il potenziale del settore energetico di questo Paese.
Non è quindi il caso di affrontare l’intera questione sperando che il battito d’ali di una farfalla in Brasile basti a scatenare un tornado in Texas (citando il matematico Edward Norton Lorenz), consapevoli che l’impatto di questo tipo di questioni su tutto il contesto sia, ormai, molto più ampio in un’economia pienamente globalizzata.
Riflettendo, infine, sulle conseguenze sociali derivanti da questa intesa, si deve valutare anche lo scenario di riferimento, dove ci si imbatte in un intreccio tra conflitti religiosi difficili da sanare, inimicizie storiche e nuove cellule terroristiche di matrice estremista, ed in questo quadro occorre ricordare come l’economistaHirschman ebbe a sostenere che i lenti processi di cura degli interessi privati rappresentino, grazie al commercio, un potenziale fattore di civilizzazione delle relazioni umane: il dolce commercio che potrebbe sanare una guerra ormai esasperata.
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Arianna Segala
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