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Questo mio non è “Into the wild”, nelle terre selvagge, il grande capolavoro di Sean Penn, il mio protagonista non è il ragazzo Chriss McCondless, soprannominatosi Alexander Supertramp nel momento in cui lascia l’immenso e becero paese di John Waine per andare incontro alla morte nell’inverno dell’Alaska, no, il mio è un piccolo villaggio situato al centro della mia anima, certo è la Siberia, divenuta regione in cui nessuno vuole andare con tutto quel freddo e, soprattutto, con quello che ci ricorda e anche con ciò che ci è stato scritto sopra, terra di morte.

Per me è veramente di vita nuova: il lontano orizzonte bianco, i boschi di betulle e questo piccolo villaggio dove mi sono fatto sistemare, a mio piacimento, l’isba, calda come la pancia della mamma. Il povero Supertramp, nella sua confusa fuga dalla civiltà a stelle e strisce, era finito nella supertrappola (nomen omen) dell’Alaska, nel gelo incontenibile e assassino di una terra inospitale. E poi quell’inutile rifugio costituito da un vecchio e rottamato bus, no, la mia isba è piccola e accogliente, ci ho messo dentro tutti i ricordi che poteva contenere, anche quelli di mio padre, il quale, per primo, mi raccontò dell’inverno a quelle latitudini, dei fiumi gelati e del chiasso che fanno quelle acque tumultuose quando si sghiacciano e i lastroni bianchi si accavallano uno sull’altro con un rumore che toglie, di notte, il sonno. Da qui, da questo mio nuovo mondo, dove penso (e spero) finisca la mia fuga, vedo l’universo di idiozie che ho lasciato come se fossi su un satellite e potessi guardare dall’alto la terra, le certezze idiote, quest’ultima mia città che ho vissuto, che è stata la mia prima e, forse, anzi senza forse, la più amata, ma anche quella che mi ha dato di meno, strano agglomerato non sempre umano, bellissimo a vedersi con un’anima sporca. Ed è qui, nel mio villaggio della nuova vita, che mi accorgo di quanti valori, affetti e amori ho logorato e lasciato, ma non è un bagaglio vuoto quello che mi porto dietro, guai se i ricordi diventano troppo pesanti.

Ecco, da quassù, dal satellite-isba, ho chiarito le mie idee confuse, raffazzonate su per una vita e per affetto mutuate da tanti stupidotti che hanno condizionato e spesso vilipeso la mia esistenza e sento che era molto sbagliato quel mio pensare di pensare che avevano ragione i principi, i conti e i baroni della politica, ai quali ho pur offerto l’anima e loro se la sono presa e se la sono cacciata sotto i piedi, tant’è che per molto tempo non sono più riuscito a riconoscerla. Di tanto in tanto la incontravo, l’anima dico, e le domandavo “ma chi sei?” e lei, sempre: “La tua anima”. Non ci credevo, la mia anima – dicevo – se la sono prese le migliaia di persone che m i hanno attraversato il corpo e poi se ne sono andate senza nemmeno salutarmi. E’ stata una santa sofferenza e ora mi accorgo che il dolore è il grande misconosciuto esame di maturità degli uomini, è stato lo strumento per prendere coscienza della vita e innalzarci al di sopra degli altri esseri viventi. I signori della politica non provano dolore, nemmeno quando vengono sorpresi con le mani nella marmellata. Il dolore è la vera politica, ma è pure un’arma micidiale usata da chi gestisce il potere, da qui vedo bene come fanno i potenti di tutta la terra, per rafforzare il proprio potere raggrumano nelle loro mani tutti i tipi di dolore e di sofferenza e poi spargono questo nettare sulle folle di coloro che protestano per le ingiustizie e le violenze subìte, passate e future, e vedo il dolore che si stampa sui visi attoniti dei lavoratori senza lavoro e senza più dignità, dei bambini, delle madri e dei padri che in tutto il mondo cercano di sopravvivere con 50 cents di dollaro al giorno.

Urla questa massa, si lamenta, s’ammala e i potenti di tutto il mondo la strumentalizza, la scaglia contro altre masse di miserabili, le guerre nascono così, dalla sofferenza manipolata da coloro che stanno in alto, i quali, poi, a massacro compiuto, distribuiranno croci di guerra, medaglie al valore, diplomi agli eroi-martiri, assassini di altri eroi-martiri, ai quali i nobili della politica hanno insegnato che l’odio è merce benedetta da Dio. Allora, è qui, in questa mia isba, che ho conosciuto l’anima della vera politica: la sofferenza, il frutto purtroppo più corposo della vita, chi ha scritto nella preghiera cristiana “in hac lacrimarum valle” non ha fatto altro che raccogliere questo frutto e porgerlo piangente a un’Entità che sperava esistente.

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Gian Pietro Testa



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