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di Irene Lodi

Concita e le altre. Fra le molte protagoniste di Internazionale, uno spazio particolare va dedicato alle scrittrici che hanno incontrato il pubblico nella tre giorni ferrarese. Venerdì pomeriggio gli appuntamenti di letteratura al femminile, introdotti dalla psicanalista Chiara Baratelli, sono stati inaugurati da Concita de Gregorio, che ha presentato in Sala Estense “Chi sono io?”. Il filtro della macchina fotografica è stato parte integrante del lavoro della scrittrice, che ha raccontato proprio insieme a una delle fotografe, Silvia Camporesi, come mai si siano concentrate sull’autoritratto e sull’immagine. “Non sentirsi mai a proprio agio – ha detto De Gregorio – è una condizione che ti mantiene vigile. Ha dei vantaggi: non ti fa mai abituare o distrarre, ti fa mettere a fuoco meglio quello che vedi, ti fa sentire dentro e fuori dalle situazioni”. L’appartenenza e la non appartenenza alle cose, alle persone, dunque, è stato il motore del libro, che è una raccolta di storie e una riflessione sullo sguardo: quello degli altri e il proprio. Perché osservarsi ed essere viste, per le donne è una questione cruciale. Una autoanalisi, quella femminile, che parte spesso dai momenti di fragilità: “Quando siamo felici non ci facciamo caso – ha concluso la scrittrice – quando c’è qualcosa che non va, invece, pesa molto. Quando tutto è al suo posto, un momento che dura poco, non si nota: l’ordine però è un nostro tentativo di controllare ciò che succede, quando la regola è il disordine”. Caos e cosmos si contrappongono e si fondono, in un gioco di riflessi che consente di scrutarsi dentro.

Gli spunti narrativi sono continuati nella presentazione de “Le assaggiatrici”, vincitore del premio Campiello, di Rosella Postorino. “Gli esseri umani hanno questa ostinata tensione per la sopravvivenza – ha affermato l’autrice – è la loro più grande risorsa, ma è allo stesso tempo anche una condanna, e il male nasce da questo: per sopravvivere siamo disposti a qualunque compromesso, siamo disposti a giustificare qualunque azione per la volontà di sopravvivere”. Il suo è un libro di relazioni e di persone “normali”, e la sua è una penna che intriga grazie alla schiettezza:”Volevo raccontare una persona qualsiasi, una che non ha scelto di diventare nazista, non aveva neanche l’età per votare quando Hitler è salito al potere. Rosa si trova in quella situazione, non ne è causa”. Dalla vita di Rosa Sauer parte una riflessione politica: “Chiunque cresca in un sistema oppressivo, che sia un sistema totalitario, un clan mafioso, una famiglia tirannica, è vittima di quel regime, anche se ne diventa complice”, ha detto Postorino, “Questi regimi non solo hanno la colpa di coercire, ma anche di togliere l’innocenza a chi ne è parte, rendendolo sempre più parte del sistema”. Le assaggiatrici è anche un libro intrinsecamente legato al cibo, che diventa metafora del ciclo vitale, un ciclo continuo, che non si ferma davanti a niente: “La vitalità del mondo che continua nonostante tutto può contagiarci, ma ci fa sentire tutta la nostra piccolezza, tutta la nostra miseria – ha concluso – Le persone continuano anche durante l’orrore della guerra, anche nel dolore, a stringere amicizie, ad avere voglia di ridere, a fare l’amore, a essere umani”.

Un altro libro che torna a parlare di amore è quello di Daria Bignardi, Storia della mia ansia, presentato sabato pomeriggio in Sala Estense. “L’amore è una cosa semplice e banale – ha esordito l’autrice ferrarese – ma non così decodificata. Viene relegato, soprattutto in letteratura contemporanea, in spazi marginali, è difficile che si stia su temi semplici, come quello della pienezza e della totalità dell’incontro. Il tema mi interessava: è impossibile l’incontro autentico e assoluto, ma nonostante questo continuiamo a innamorarci e a parlare d’amore”. Sono poche le persone in grado di accettarne la relatività, secondo Bignardi, mentre per tutto il resto riusciamo a scendere a patti con i compromessi nella nostra lettura del mondo. Anche il tema della corporeità e della concretezza si ritrova in questo romanzo: “In tutto ciò che scrivo ci sono vita, morte, incidenti, malattie, tutto quanto riguarda il corpo – ha concluso la scrittrice – perché questi momenti rappresentano la realtà che irrompe nel quotidiano, il senso implacabile e devastante della realtà, ma a volte anche la pienezza della realtà, una sensazione che a volte perdiamo”.

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Redazione di Periscopio



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