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Dalla culla alla tomba: era lo slogan del welfare socialdemocratico del Dopoguerra che ha reso l’Europa un modello e un punto di riferimento nella seconda metà del ventesimo secolo. Ormai solo un lontano ricordo: eroso a partire dagli anni Ottanta dal turbocapitalismo e dalla finanziarizzazione dell’economia e, negli ultimi anni, anche dalla crisi, che ha creato ancora più diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza e sempre più ridotto le risorse degli Stati. Quelle politiche di austerity riassunte così spesso dalla frase “Ce lo chiede l’Europa”.
Un’Europa costruita – nonostante le utopie dei suoi fondatori, a partire dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi – a partire dai mercati e dalle politiche economiche, piuttosto che dai diritti dei cittadini, soprattutto quelli sociali. Eppure sembra che dall’impasse che l’Europa sta vivendo, se proprio non vogliamo parlare di vera e propria crisi, non si possa uscire se non capovolgendo la situazione: ripartendo cioè dai diritti e costruendo un vero e proprio welfare europeo sempre più condiviso e integrato fra i vari Paesi, che esca dalle mere dichiarazioni di principio e che unifichi l’attuale disomogeneità di politiche negli Stati dell’Ue. Da soli i Paesi e le loro classi politiche non possono farcela contro aziende e mercati globali, che possono spostarsi da una realtà all’altra con un click in cerca di situazioni e condizioni più favorevoli, giocando continuamente una partita al ribasso.
È quanto emerso venerdì pomeriggio dall’incontro ‘L’Europa a misura di cittadino’, svoltosi all’interno del programma di Internazionale a Ferrara nell’aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza. Ospiti: Michael Braun di Die Tageszeitung, Antonia Carparelli della Commissione Europea, il docente di Unife Alessandro Somma e, come moderatore, Dino Pesole de Il Sole 24 Ore.

Una discussione quella su sussidi, salario minimo, reddito di cittadinanza, di stretta attualità, dato che proprio in questi giorni si sta svolgendo il braccio di ferro fra Italia e Ue su manovra economica, documento di aggiornamento al Def e finanziamento del reddito di cittadinanza così come concepito dai Cinque Stelle: 6,5 milioni di italiani destinatari di circa 680 euro al mese, per un totale di 10 miliardi di euro.
Antonia Carparelli è partita dalle cifre Eurostat del 2016 sulla povertà: “118 milioni di persone a rischio di povertà in Europa, cioè con un reddito inferiore del 60% al reddito mediano della popolazione, inoltre 12 milioni di persone in una situazione di deprivazione materiale. Per quanto riguarda l’Italia, c’è un 30% di persone a rischio povertà, mentre il 10% delle persone più ricche ha aumentato la percentuale di ricchezza totale del Paese detenuta dal 40% al 50%”. Per la funzionaria della Commissione Europea “bisogna prima di tutto chiedersi quali sono le cause di queste povertà, altrimenti il rischio è che gli interventi siano una goccia nel mare e soprattutto che vengano allocate male le risorse. Per esempio sarebbe un grosso errore dirottare le risorse sul reddito di cittadinanza, lasciando indietro il sistema scolastico”.
Per Michael Braun “l’Europa tornerà a misura di cittadino quando si realizzeranno politiche per far tornare le persone, soprattutto della classe media, a credere nella scommessa, nella promessa del futuro”. Per il giornalista tedesco il successo di populismi e sovranismi deriva dal fatto che “la classe media si preoccupa per il suo futuro e pensa che i suoi figli staranno peggio”. A suo parere il reddito minimo o di inclusione, come dovrebbe essere definito il sussidio concepito dai pentastellati, dato che è una misura condizionale e non universalistica, “è una misura di civiltà. Non credo che sia criticabile l’approccio di dare a ciascuno per garantire un minimo di dignità”. Il rischio però è che accada quello che è avvenuto in Germania, dove questa misura già esiste: “che l’integrazione al reddito diventi un incentivo per i datori di lavoro per pagare di meno”. Per questo Braun insiste sul fatto che non si può prescindere dal “salario minimo garantito”.

Somma, invece, riporta l’attenzione sulle politiche attive del lavoro: i veri problemi sono la mancanza di lavoro e “il lavoro povero” perché così “si rompe il patto sociale” sul quale il welfare è sempre stato concepito. Per nulla tenero sia con l’Ue sia con il Movimento cinque stelle, Somma prefigura addirittura “il lavoro coatto” e di conseguenza “l’ulteriore abbassamento dei salari”, dato che le condizioni per avere il reddito di cittadinanza sono: dimostrare di aver cercato attivamente lavoro, non rifiutare più di due offerte di lavoro in un anno e divieto di licenziarsi più di due volte nell’arco di un anno. “Siamo addirittura giunti al consumo coatto – conclude Somma – dato che uno dei due vicepremier ha affermato che con il reddito di cittadinanza non si potranno fare spese immorali. Chi deciderà quali sono queste spese? È molto preoccupante perché i soldi saranno erogati tramite microchip, con la possibilità quindi di essere controllati e chi sgarra rischia almeno sei anni di galera”.
Ecco allora che sui social già fioccano gruppi sugli acquisti immorali, come per esempio… la pizza all’ananas. Si ride per non piangere!

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Federica Pezzoli



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